Siamo molto dispiaciuti di aver generato sconcerto alle autrici della lettera aperta ai compagni della Cgil pubblicata dal manifesto il giorno 4 dicembre. Tuttavia, se generare sconcerto si dimostrasse utile ad aprire una discussione sui temi della transizione energetica abbandonando le emotività e le ideologie e partendo dalla realtà delle condizioni del nostro Paese, siamo pronti a confrontarci. Le accuse che vengono fatte alla nostra categoria sono ingiuste, sbagliate, ingenerose e dimostrano una scarsa conoscenza della storia del sindacato dei chimici e dell’energia, che sono categorie della Cgil, è bene sottolinearlo, visto il malizioso tentativo di etichettarci come qualcosa d’altro.

Raccontare la storia del sindacato dei chimici della Cgil degli ultimi cinquanta anni significherebbe raccontare una storia di successi per la tutela della salute e dell’ambiente, dagli scioperi del 1976 dopo Seveso, alle commissioni ambiente riconosciute nel Ccnl, alla transizione dal nucleare, alle lotte quotidiane nelle aziende e contro le aziende per rivendicare gli investimenti per una maggiore sostenibilità ambientale delle produzioni.

Abbiamo scritto nel documento che condividiamo tutti gli obiettivi del Green New Deal perché noi siamo interessati a lasciare alle future generazioni un pianeta migliore di quello che abbiamo ricevuto in eredità. Ci battiamo ogni giorno per questo e contemporaneamente non ci dimentichiamo mai di essere un sindacato che difende il lavoro: il poco che c’è e quello che ci sarà. Per questo abbiamo insistito sul significato di “giusta transizione”, Just Transition, che deve essere sostenibile sul versante industriale e socialmente accettabile. Non siamo contro “il cambiamento” ma siamo per governare e accelerare “il cambiamento”.

La transizione energetica deve essere parte importante di un disegno complessivo di politica industriale che il paese in questo momento non ha. Non accettiamo l’idea che questa discussione possa essere fatta sulla pelle dei lavoratori a colpi di ammortizzatori sociali perché il Paese non è pronto né tecnologicamente né industrialmente. Questo non è il luogo, ma siamo pronti a fornire riferimenti scientifici solidi riguardo alle proposte che avanziamo, abbiamo migliaia di ingegneri e tecnici, iscritti alla Cgil, pronti a confrontarsi con chiunque lo desideri.

Come si fa a scrivere che uno dei problemi più grandi del nostro Paese è quello della “dipendenza energetica” e tacere sul fatto che le poche risorse primarie come il gas, che il nostro Paese possiede, non vengono utilizzate per le scelte legislative degli ultimi anni? Si provi a parlare con gli ingegneri, i tecnici, gli operai, i lavoratori di Ravenna se si vuole comprendere il problema. Il cambio energetico non è on/off. Sarebbe un’ingenuità crederlo.

La storia ed il modello energetico di ciascun paese è decisiva. E l’Italia è il paese che ha il miglior mix energetico in Europa: per questo abbiamo potuto decidere una transizione più breve rispetto agli altri, anche a costo di perdere competitività nei settori industriali. La Germania, per quest’ultima, arriverà al 2038 con il carbone!

La funzione del gas è solo quella di vettore che assicuri la transizione per arrivare, quando il paese sarà pronto tecnologicamente, al pieno utilizzo delle fonti rinnovabili. Essa nasce proprio dalla nostra storia energetica e dalla scelta di una transizione più veloce e sostenibile per la decarbonizzazione, che deve arrivare al più presto, ne conveniamo, ma evitando di distruggere l’ossatura industriale del nostro Paese che, essendo un trasformatore industriale di risorse primarie che non possiede, è costituito nella stragrande maggioranza, di aziende energivore.

L’energia deve essere programmata come elemento di certezza e di stabilità: il tema non riguarda solo l’utilizzo domestico, ma le strutture portanti dell’industria di base italiana, come insegna, ad esempio, la vicenda dell’Ilva. È vero, come ricordato nell’articolo, che la Cgil ha sempre saputo guardare lontano, ma lo ha sempre fatto tenendosi fortemente ancorata alla realtà e al valore del lavoro, riuscendo da sempre a coniugare ciò con gli interessi generali del Paese.

Alle teorie della “decrescita felice” fine a sé stessa, noi preferiamo la realtà della nostra azione sindacale e contrattuale quotidiana che punta allo sviluppo e alla redistribuzione equa dei profitti. Saremo sempre pronti a lottare contro quelle aziende “eco furbe” che non programmassero investimenti per la sostenibilità ambientale. Non ci sono e non ci possono essere sindacalisti da una parte e movimenti ambientalisti dall’altra: dobbiamo essere tutti uniti nel difendere l’ambiente e il lavoro evitando discussioni che rischiano di contrapporli.

La replica di Luciana Castellina e Rossella Muroni, autrici della lettera: Il nostro fine è aprire una discussione pubblica