La gerarchia ecclesiastica cattolica irlandese è la grande sconfitta del referendum che ha approvato il matrimonio gay. Da mesi i vescovi erano scesi in campo per il No.

La campagna elettorale della Conferenza episcopale d’Irlanda era cominciata a dicembre, con una nota pastorale, diffusa in tutte le parrocchie, in cui si affermava che «ridefinire la natura del matrimonio significa distruggere la struttura portante della società». A marzo poi l’Assemblea dei vescovi ha pubblicato un nuovo documento rivolto ai cattolici: «Il matrimonio è importante, rifletti prima di cambiarlo».

Nelle ultime settimane gli appelli si sono moltiplicati, fino alla domenica prima del voto, quando i vescovi hanno scritto personalmente e direttamente ai fedeli. «È la natura che ci dice che le unioni tra persone dello stesso sesso sono oggettivamente diverse dall’unione complementare tra un uomo e una donna», ha detto monsignor Eamon Martin, presidente della Conferenza episcopale irlandese. E per Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, «modificare la definizione tradizionale del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna rappresenta una rottura con la storia umana e con la natura stessa di questa istituzione».

Eppure, visti i risultati del referendum, dichiarazioni e appelli non sono serviti a nulla. Segno evidente che la Chiesa irlandese ha perso gran parte della sua influenza sulla società – anche a causa dei numerosi scandali, dalle “Case Magdalene” ai tanti casi di pedofilia del clero, che hanno minato la propria credibilità – e che c’è una frattura sempre più grande fra dottrina, episcopato e fedeli, i quali rivendicano la propria fede religiosa ma, in nome della libertà di coscienza, disattendono alle prescrizioni ecclesiastiche, soprattutto in materia di etica sessuale, tanto che i giovani cattolici e la Chiesa di base si sono schierati e hanno votato massicciamente Sì.

Situazione che si verifica non solo in Irlanda ma un po’ dappertutto, come è emerso dal dibattito, ancora in corso, in vista dell’ultima fase del Sinodo sulla famiglia (ad ottobre), nel quale si evidenzia uno “scisma non dichiarato” fra gerarchia e credenti: c’è grande difficoltà ad «accettare integralmente» l’insegnamento della Chiesa su «controllo delle nascite, divorzio e nuove nozze, omosessualità, convivenza, relazioni prematrimoniali, fecondazione in vitro», ammettono i vescovi.

Del risultato non sarà contento papa Francesco, che più volte ha parlato di «ideologie colonizzatrici» che «cercano di distruggere la famiglia», intendendo unioni di fatto e coppie omosessuali. Né il cardinal Bagnasco che giovedì scorso, al termine dell’Assemblea della Cei, ha detto che una vittoria del Sì in Irlanda «non avrebbe fatto bene alla famiglia e a tutta la società».

Ancora più netti i gruppi cattolici tradizionalisti. «Cari irlandesi, non illudetevi: le unioni gay rimangono eticamente contro l’uomo», commenta il voto l’Unione cristiani cattolici razionali. E ieri e oggi veglie in 100 piazze italiane delle Sentinelle in piedi «per esprimere dissenso verso provvedimenti legislativi che annientano la nostra società distruggendo la famiglia».

L’obiettivo però non è l’Irlanda, ma il ddl sulle unioni civili in discussione in Italia.