«La protesta dei docenti universitari contro la Valutazione della qualità della ricerca (VqR) ha seguito due direttrici» sostiene Stefano Semplici, professore di Etica sociale all’università Tor Vergata di Roma e ispiratore di una mozione di protesta votata da molti organi accademici contro la procedura ministeriale di valutazione dei «prodotti della ricerca» che ha aggravato gli effetti dei tagli agli atenei e discriminato il Sud dal Nord – La prima è stata alimentata dall’umiliazione subìta dai docenti universitari con il blocco prolungato degli scatti di anzianità. Una vera e propria punizione selettiva rispetto agli altri dipendenti pubblici, per la quale non sono mai state date giustificazioni. Anche perché era davvero difficile trovarle».

 

Stefano Semplici (Roma Tor Vergata)
Stefano Semplici (Roma Tor Vergata)

 

La seconda?
Al disagio si è aggiunto quello di quanti individuano nella Vqr e in particolare nell’utilizzazione dei suoi risultati uno degli strumenti principali di una politica universitaria che ha prodotto e continuerà a produrre effetti inaccettabili: il taglio delle risorse coperto dal mantra dell’eccellenza e del merito; l’erosione del diritto allo studio; l’esasperazione degli squilibri fra le diverse aree del paese; la competizione con ogni mezzo fra gli appartenenti alla comunità della ricerca per scalare le dettagliatissime classifiche dell’ Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur); la mortificazione dell’impegno nella didattica e dunque della «missione» dell’università.

La richiesta di sbloccare gli scatti di anzianità ha dunque avuto un peso decisivo su questa protesta inedita?
Assolutamente sì, anche perché ha mobilitato il maggior numero di docenti. Bisogna però tener presente una differenza fondamentale: per questo fronte l’astensione dalla Vqr è uno strumento per ottenere la restituzione agli effetti giuridici degli scatti, mentre la protesta di molti docenti, per le ragioni che ho detto, è contro la Vqr in quanto tale.

È possibile tracciare oggi un bilancio?
Purtroppo no, perché i dati sul numero degli astenuti non vengono resi noti in modo ufficiale dal ministero dell’università (Miur) e dall’Anvur. Si è costretti ad inseguire comunicati di singoli rettori o le notizie che arrivano da singoli dipartimenti. Un primo e fondamentale passo per affrontare in modo più sereno questo conflitto, che non è semplicemente fra professori e governo ma fra professori e altri professori sull’idea di università, sarebbe invece stato proprio quello di consentire a tutti di capire cosa stava succedendo. I continui rinvii delle scadenze per il caricamento dei prodotti sono comunque la conferma che la procedura traballa. E si è in ogni caso allargata nel paese una rete di «resistenza» che prima non esisteva.

Si moltiplicano voci di atti di intimidazione individuale da parte di direttori di dipartimento. Quali sono i reali rischi per gli atenei e per i docenti?
Occorre distinguere la posizione dei singoli e quella di atenei e dipartimenti. Per quanto riguarda i primi, abbiamo chiesto invano che fossero chiarite le conseguenze disciplinari alle quali potevano andare incontro gli «obiettori» e che queste conseguenze fossero le stesse per tutti. Il rischio è rimasto quello dell’applicazione di una logica per la quale «ateneo che vai, sanzione che trovi». E questo è certamente uno strumento di pressione, che si somma alla consapevolezza che la propria università e, a cascata, il proprio dipartimento possono effettivamente essere danneggiati nella distribuzione delle risorse, se il ministero deciderà comunque di andare fino in fondo e dare un esempio per il futuro, in modo da stroncare una volta per tutte le velleità dei ribelli.

Cosa accadrà nel caso in cui l’adesione alla protesta sarà a macchia di leopardo?

Questo è l’esito che si va prefigurando sulla base delle informazioni frammentarie disponibili, anche perché solo il raggiungimento di una adeguata «massa critica» nei singoli atenei e dipartimenti può consentire alla protesta di creare «buchi» davvero pericolosi per la tenuta della procedura. Quando questa massa critica non viene raggiunta, singoli docenti o piccoli gruppi sono ridotti ad un’azione di testimonianza. Bisogna anche aggiungere che la mancanza di trasparenza sui dati rischia di far semplicemente scomparire la percentuale di coloro (io sono fra questi, avendolo dichiarato fin dal mese di settembre) che lasciano ai loro direttori la libertà e la responsabilità di procedere con il cosiddetto caricamento forzoso, se ritengono che questo sia il loro dovere.

Il sottosegretario Toccafondi ha dichiarato che la questione degli scatti di anzianità è stata risolta e che la mobilitazione dei docenti rientrerà. E’ vero?

Dipende da noi. C’è in campo una petizione con la quale, oltre a chiedere le dimissioni dei gruppi di esperti «Gev» dai quali dipende la procedura, i firmatari si impegnano a non collaborare ad essa come revisori. In questo caso, non ci sono rischi né per i singoli né per le loro strutture. E se tutti firmassero la Vqr sarebbe morta.

Cosa pensa dello «sciopero alla rovescia» dei ricercatori precari che chiedono il riconoscimento della ricerca come lavoro?
Che è la prova, al di là degli aspetti tecnici della questione e della diversità delle figure coinvolte, della necessità di pensare a tutta l’università e non solo agli scatti dei professori, che pure hanno tutte le ragioni per indignarsi. I tagli di questi anni hanno tagliato anche e forse prima di tutto il futuro di questi giovani. È arrivato il momento di ricordarsi di loro.

Dossier: #Salviamolaricerca