«L’occupazione abusiva degli immobili costituisce da tempo una delle principali problematiche che affliggono i grandi centri urbani del paese»: così, un anno fa, la Circolare del ministro dell’Interno ai Prefetti sollecitava l’esecuzione degli sgomberi.

Dieci giorni fa è stato imposto lo sgombero di un edificio di proprietà pubblica, una occupazione che andava pacificamente avanti da 13 anni. Gli occupanti di via Cardinal Capranica erano integrati nel quartiere, i loro figli frequentavano le scuole, mai il minimo problema sociale. Perché sgomberare con uno spiegamento di forze che sarebbe stato meglio utilizzare per sconfiggere la malavita che controlla il mercato della droga?

Nessuna spiegazione razionale, tanto che lo sgombero è stato giustificato dallo stato di pericolosità dell’immobile. Una giustificazione fasulla: ad Ostia, alcune parti di un complesso immobiliare di proprietà Armellini -che riceve molti soldi dal comune di Roma per l’affitto- ha alcune parti transennate da anni e denunciate come “pericolanti”. Ma lì non si interviene. Roma accumula detriti, rovine, ruderi urbani, opere incompiute fino a quando non servono a realizzare rendita finanziaria. Nel frattempo sono le case per masse di disperati invisibili e demonizzati.

Gli sgomberi non servono a nulla senza una strategia di uscita dal tunnel in cui è piombata la città. In tanti anni si sono cimentati amministratori, forze sociali, movimenti per il diritto all’abitare, associazioni e importanti autorità dello Stato. Grazie ad una di queste, l’allora prefetto Gabrielli, la vicenda sembrava avviata a soluzione. Furono trovati 194 milioni da spendere per risolvere l’emergenza. Una somma sicuramente non sufficiente, ma che poteva dare il segnale giusto. Sono passati anni e –incredibilmente- quella somma è sempre lì, non spesa per una cieca resistenza sul diritto ad avere un alloggio anche da parte degli occupanti. La penuria di case disponibili ha fatto il resto: la guerra tra poveri deve continuare.

Da questo vicolo cieco si può uscire soltanto con la cooperazione delle amministrazioni pubbliche coinvolte, comune di Roma e regione Lazio, dell’Ater, delle forze sociali, dei comitati degli occupanti e dei responsabili dell’ordine pubblico in città, per costruire un “Piano straordinario”. Fondato su quattro pilastri.
Il primo riguarda la rigorosa gestione del patrimonio alloggiativo pubblico. In questi ultimi tempi l’Ater, sta reimmettendo nel mercato delle assegnazioni molti alloggi. E’ una strada positiva che può alleggerire la graduatoria dei richiedenti.

Il secondo riguarda l’utilizzazione dei 194 milioni ancora bloccati in regione Lazio. Servirebbero per costruire circa 2 mila alloggi: i luoghi ci sono: le piccole aree pubbliche o gli edifici pubblici abbandonati, come la scuola di via Cardinal Capranica a Primavalle.

Il terzo intervento riguarda il futuro delle occupazioni. Più della metà insiste su immobili pubblici che, nel quadro del più generale interesse della città, possono consentire agli occupanti la continuazione dell’esperienza. Per le occupazioni che non possono essere mantenute, il Piano straordinario deve prevedere la riutilizzazione degli immobili pubblici dismessi lasciati nel degrado. Con servizi pubblici: un presidio medico, una scuola di italiano, spazi per l’avviamento al lavoro. Edifici misti, dunque, in cui l’abitare sia arricchito con l’integrazione sociale. Roma diventerebbe la capitale di una nuova concezione dell’abitare.

In molti casi è quello che le occupazioni hanno realizzato, dimostrando che si può fare. Nella ex fabbrica Fiorucci di via Prenestina, insieme alle abitazioni ha preso vita un museo, il MAAM, il primo museo abitato. A via delle Province è in funzione una biblioteca, aperta al quartiere. Tutti luoghi in cui si sperimenta una nuova cultura urbana. Tutti luoghi, insieme a via del Caravaggio, a rischio di prossimo sgombero. Da notare che la signora Armellini che pretende lo sgombero di via del Caravaggio è la stessa che affitta al comune le case fatiscenti di Ostia.

Infine c’è da concludere la vergognosa vicenda dei residence, utili ai potenti di turno per lucrare una rendita inaudita: ogni anno il comune di Roma spende 28 milioni di affitto per immobili fatiscenti e luridi. Occorre prevedere la ristrutturazione di edifici pubblici in grado di garantire l’accoglienza alle situazioni di estremo disagio sociale e abitativo.

Esiste dunque una prospettiva concretamente praticabile. Coloro che vorranno continuare nella tragica catena degli sgomberi, dovranno spiegare pubblicamente per quale motivo non si sono impegnati a raggiungere un grande risultato di civiltà che la capitale aspetta da anni. A settembre i comitati dei senza casa chiameranno la città a discutere i dettagli della proposta che toglie alibi a chi alimenta odio e paura.