Hanno fatto una fine terribile, sono morti di stenti su una barca alla deriva nell’Atlantico. Erano partiti 22 giorni prima, il 5 aprile scorso, e avevano perso la direzione in una delle rotte migratorie più pericolose: quella che dall’Africa occidentale raggiunge le Canarie. Se ne sono andate così almeno 24 persone. I tre superstiti, due uomini e una donna, sono salvi per miracolo. Li ha avvistati un aereo militare spagnolo e raggiunti un elicottero del servizio di ricerca e soccorso. Si trovavano 570 km a sud dell’isola di El Hierro, la più occidentale dell’arcipelago. «Erano in mezzo al nulla», hanno raccontato a Canarias7 i soccorritori Fernando Rodríguez e Juan Carlos Serrano.

I due si sono calati sul cayuco, barca di legno a forma di canoa, e hanno trovato una scena da film horror, in cui spostavano i corpi alla ricerca di segni di vita. I sopravvissuti, che erano completamente disidratati, sono ora ricoverati a Tenerife. «Non sappiamo da dove fossero partiti. Neanche il numero dei morti è certo. La traversata è molto lunga e in simili circostanze è possibile che altri corpi siano stati gettati in mare», afferma María Jesús Vega portavoce di Unhcr Spagna.

Il cayuco è stato poi raggiunto dalla Guardamar Talìa, una nave Sar che l’ha trainato nel porto «Los Cristianos», sempre a Tenerife. Il salvataggio è avvenuto martedì scorso, mentre ieri l’Unhcr e l’Oim hanno diffuso un comunicato in cui denunciano «un aumento costante del numero di rifugiati e migranti morti in mare». Dall’inizio dell’anno sull’arcipelago oceanico che costituisce lo spicchio più a sud dell’area Schengen sono arrivate 4.300 persone. «Si stima che in 200 abbiano perso la vita lungo la rotta che porta alle isole Canarie e su quella del Mediterraneo occidentale verso la Spagna», continua il testo.

Nell’Atlantico i decessi sono stati almeno 90, ma i numeri risultano quanto mai incerti perché il tratto di mare percorso dai migranti è sterminato: a ovest non è chiuso da nessuna terra. Chi perde l’orientamento finisce inghiottito dal niente, senza che nessuno se ne accorga. Sarebbe accaduto lo stesso a morti e superstiti se l’aereo spagnolo non fosse passato sopra di loro.

L’arcipelago delle Canarie

Sono cinque i paesi da cui le barche lasciano le coste africane con il sogno di raggiungere l’Europa: Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal e a volte perfino Gambia. Le distanze da percorrere oscillano tra i 400 e i 1.500 chilometri e possono richiedere da 24 ore a due settimane. Lo scorso anno la rotta Canaria ha registrato un vero e proprio boom: 23.023 arrivi (fonte: min. Interno spagnolo), con un aumento rispetto all’anno precedente del 756,8%. L’Oim ha calcolato 609 morti fino al 1 dicembre 2020, ma secondo i dati raccolti con sistematicità dall’Ong Caminando Fronteras tra chi ha sicuramente perso la vita e chi è scomparso il numero è molto più alto: 1.851 persone. Il dato più alto di sempre, che per una volta ha tolto il triste primato di morte alla rotta migratoria del Mediterraneo centrale.

Nel rapporto «Migrazione nelle Canarie, l’emergenza prevedibile» la Commissione spagnola di aiuto ai rifugiati (Cear) dimostra come ci sia stato uno «spostamento dei percorsi migratori verso il sud». L’esplosione di arrivi sulle isole dell’Atlantico, infatti, è coinciso con il crollo degli attraversamenti di frontiera a Ceuta e Melilla (-70%) e una significativa diminuzione degli sbarchi sulle coste meridionali della penisola iberica. Lo studio parla di un «effetto vasi comunicanti» tra le diverse rotte e afferma: «ogni volta che se ne chiude una, se ne attiva un’altra più pericolosa». Tra i principali push factor che spingono le persone a rischiare la vita: la mancanza di vie legali; l’impatto economico del Covid-19; le crisi umanitarie in Sahel e Mali; il ruolo giocato dallo stato marocchino.