Dodici Paesi europei, tra cui l’Italia, chiedono a Israele di mettere fine «immediatamente» all’espansione dei suoi insediamenti coloniali nei Territori palestinesi occupati. Il passo fa seguito all’annuncio dell’approvazione due giorni fa di progetti per 3.144 nuove case per coloni, di cui 1.344 in tempi brevi, le altre saranno costruite con tempi più lunghi. «Chiediamo al governo di Israele di rivedere immediatamente la sua decisione». La colonizzazione, aggiungono i 12 Stati europei, «rappresenta una violazione del diritto internazionale e mina gli sforzi in favore di una soluzione a Due Stati (Israele e Palestina, ndr)». Più di tutto i paesi firmatari chiedono «l’applicazione della risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite».

Si tratta di un punto di rilievo. La risoluzione 2334, adottata il 23 dicembre 2016, ribadisce, oltre alla illegalità delle colonie per il diritto internazionale, il non riconoscimento di modifiche dei confini del 1967 se non quelle concordate da entrambe le parti, israeliani e palestinesi. La risoluzione passò con 14 voti a favore su 15 perché a sorpresa l’Amministrazione Obama, nell’imminenza dello scadere del proprio mandato, si astenne e non fece ricorso al diritto di veto per bloccare il testo di condanna di Israele. Quella decisione di Obama provocò le ire dell’ex premier Benyamin Netanyahu ma restò puramente simbolica perché i governi israeliani hanno continuato ad espandere le colonie senza alcun freno.

Simbolica è destinata a rimanere anche la presa di posizione dei 12 paesi europei. Forte dell’assenza di azioni concrete dei paesi occidentali contro la colonizzazione, anche il premier Naftali Bennett – da anni riferimento politico del movimento dei coloni – non farà marcia indietro. Anzi sembra voler sfidare apertamente la blanda posizione contraria a nuovi insediamenti espressa dall’Amministrazione Biden. E difficilmente terrà conto dei fermenti nel composito schieramento del suo governo. «Chiunque irresponsabilmente annunci dichiarazioni politiche con implicazioni internazionali, senza coordinamento e senza alcuna preparazione, chiunque approvi la costruzione di 3.000 case in Cisgiordania, non è sicuramente Rabin», hanno protestato su Twitter i Laburisti riferendosi al fatto che il ministro della difesa Benny Gantz, competente per le nuove costruzioni in Cisgiordania, abbia detto di voler seguire la politica di pace dell’ex premier assassinato Yitzhak Rabin. Parole che suonano vuote, destinate a non lasciare alcun segno. D’altronde i resti del centrosinistra e il partito islamista Raam, che pure con i suoi quattro seggi garantisce la sopravvivenza della maggioranza di governo nata nei mesi scorsi – con l’obiettivo dichiarato di rimuovere Netanyahu dal potere -, non sono riusciti a fermare la mossa di Gantz di mettere fuori legge 6 ong palestinesi per i diritti umani con l’accusa di essere una «copertura» per le attività del Fronte popolare liberazione della Palestina (Fplp).

I media israeliani riferiscono di una conversazione telefonica «tesa» tra il segretario di stato Usa Antony Blinken e Gantz prima del via libera alle oltre tremila case per coloni, con il primo che le ha definite «inaccettabili» come numero e come collocazione geografica (le costruzioni mirano ad impedire la nascita di uno Stato palestinese con un territorio omogeneo). Gantz avrebbe risposto che in futuro terrà conto delle osservazioni della Amministrazione americana. Non ci vuole molto a prevedere che la bufera passerà nel giro di qualche giorno e sul terreno Israele continuerà a portare avanti i suoi progetti edilizi nei Territori occupati.