Con una vera e propria rivoluzione degli assetti globali, il decennio che teorizzava la fine della Storia si incarica di certificarne un nuovo mirabolante inizio. E’ il decennio in cui cadono i Muri, si alza l’onda travolgente del neoliberismo, il decennio in cui il Pci, più grande partito comunista dell’Occidente, quattro anni dopo la morte di Berlinguer, prova a cambiare nome. E il mondo con Reagan e Thatcher cambia faccia.

In Italia, gli anni ‘80 segnano una sanguinosa continuità con gli anni ‘70.

La criminalità mafiosa e le organizzazioni terroristiche sono all’attacco sulla frontiera italiana. La mafia uccide Piersanti Mattarella, i terroristi assassinano uomini come Bachelet, Ruffilli, Tobagi, gli stragisti neri mettono le bombe alla stazione di Bologna, un mese dopo il massacro di Sabra e Chatila, un attentato antisemita uccide un bambino davanti la sinagoga di Roma, forze internazionali attentano alla vita del papa e giocano al tiro a segno con i nostri aerei di linea sul cielo di Ustica.

Ma ci sono anche le stragi annunciate che ci auto-infliggiamo. Migliaia di morti restano sotto le macerie dei paesi dell’Irpinia, vittime della corruzione e del malgoverno democristiano più che del disastroso terremoto.

Laddove invece gli anni ‘80 segnano una vistosa, radicale discontinuità, è nel rovesciamento del rapporto di forze tra Lavoro e Capitale, sancita dalla drammatica sconfitta operaia alla Fiat e dalla disdetta della scala mobile che, insieme, investono e travolgono le conquiste sindacali degli anni ‘70, avviando il paese al declino della grande industria alla flessibilità precarizzante, al boom della piccola e media impresa, all’esplosione dell’economia sommersa, il “salario” lascia il posto al “reddito” e per campare cominciano a essere necessari i lavoretti.

Mentre la vulgata del dibattito pubblico parla di modernizzazione e di grandi riforme, il gruppo storico del Manifesto vede con lungimiranza qual è la posta in gioco, ai cancelli della Fiat come ai cantieri di Danzica, o nelle miniere della Gran Bretagna di Thatcher. Legge l’implosione dei regimi dell’Est e l’arrivo della tempesta restauratrice incardinata nel pensiero unico. Il rovesciamento della lotta di classe, in quegli anni, in Italia, è simbolicamente rappresentato dalla marcia dei 40 mila a Torino.

Al di là dei patrii confini lo scenario internazionale è sottosopra. Siamo nel decennio della lunga guerra tra Iraq e Iran, in Egitto viene assassinato Sadat, Israele invade il Libano, viene uccisa Indira Ghandi, i carri armati reprimono la protesta di Tien An Men, e oltreocortina il Pcus reagisce al disfacimento dell’Unione sovietica eleggendo Gorbaciov. Allo sconvolto scenario dell’Est risponde l’Ovest con l’era reaganiana. Solo per citare le punte dell’icerberg.

Le trasformazioni geopolitiche sono il portato di una rivoluzione economica chiamata neoliberismo, di una temperie ideologica che nel 1989, a vent’anni dalla morte di Adorno, farà scrivere a Franco Fortini di “una generale débacle del pensiero critico, dove sembra assurdo denunciare tutto quello che finora si è inteso come progresso”. Il mondo abbraccia la fede del progressismo produttivistico e dovranno trascorrere alcuni decenni perché diventi linguaggio corrente il disastro di una crescita senza sviluppo.

E tuttavia, sotto le macerie del modello di economia e di welfare del Dopoguerra, proprio quando “l’edonismo reaganiano” riempie colpevolizzanti volumi sul riflusso nel privato, l’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’emersione prorompente dei movimenti sociali, in primo luogo quello delle donne e del femminismo, la più longeva e vitale critica al modello culturale, sociale, economico e politico delle nostre società, che si farà sentire nella sfida vincente sull’aborto. Un movimento apripista di un generale allargamento delle tematiche dei diritti e della grande questione dei limiti dello sviluppo, dell’ambientalismo, del pacifismo.

E due anni dopo la tragedia di Chernobyl, in Italia i movimenti vincono il referendum contro il nucleare. Battaglie che trovano nel manifesto uno strumento propulsivo di riflessione e di organizzazione, battaglie che si scontrano contro i duri e puri di una sinistra con lo sguardo rivolto al passato, che non sa rispondere alle dure repliche della Storia, né far fronte alla progressiva perdita del suo radicamento sociale.

Vai alla pagina dedicata all’anniversario.

Se non trovi più in edicola gli album chiedili a arretrati@redscoop.it

Qui l’editoriale di Norma Rangeri di presentazione del primo album, quello sugli anni Settanta.