È del 10 Aprile l’annuncio che Google ed Apple hanno rilasciato una piattaforma per il contact tracing capace di installarsi sugli smartphone dei due gli standard principali del mercato – iOS per Apple e Android per Google – e di fornire gratuitamente servizi e funzionalità ai governi e alle autorità della salute che ne facciano richiesta.

Lo annunciano a “web unificato” i due colossi.

La privacy è al centro dell’annuncio: la tecnologia Bluetooth – già presente negli smartphone – si usa per ottenere visibilità degli altri dispositivi in prossimità, identificando gli utenti non con i loro dati personali, ma attraverso identificativi univoci rigenerati ogni 15 minuti in maniera casuale.

Ci saranno due fasi.

La prima vedrà la possibilità di usare le funzionalità della API (Application Programming Interface, il modo in cui le macchine dialogano tra loro, scambiandosi messaggi e risposte) in maniera interoperabile (cioè capace di funzionare allo stesso modo su sistemi differenti) per realizzare le funzionalità di contact tracing.

In questo modo le autorità della salute dei vari governi potranno realizzare rapidamente le proprie applicazioni e renderle disponibili per il download.

Nella seconda, Apple e Google realizzeranno questo genere di funzionalità direttamente nei sistemi operativi e nei futuri hardware dei dispositivi.

L’annuncio include anche alcune versioni preliminari delle specifiche tecniche del sistema:

  • il modo in cui viene utilizzata la tecnologia Bluetooth;
  • un metodo per assicurare la privacy e la copertura crittografica delle comunicazioni;
  • e lo scambio di informazioni che il sistema può avere con altri sistemi, per esempio con quelli dei governi nazionali.

Apple e Google assicurano che le tecnologie saranno opt-in – ovvero che gli utenti dovranno esplicitamente scegliere se utilizzare queste piattaforme e funzionalità.

Questo, però, non garantisce i cittadini.

 

Il “green pass” a Wuhan, foto Ap

 

Se, per esempio nella prima fase, l’uso del contact tracing dovesse essere collegato alla possibilità di accedere ad altri servizi dei sistemi sanitari nazionali, si verificherebbe per loro una forte condizione di pressione psicologica: per avere accesso agli altri servizi della sanità potrebbero trovarsi praticamente obbligati ad aderire al nuovo servizio.

Nella seconda fase, inoltre, non sono chiari i modi in cui sarà possibile assicurarsi di escludere una funzionalità che è parte integrante del sistema di base di un dispositivo.

Questo è il genere di scenario che si prospetta con gli assistenti vocali: come faccio ad essere sicuro di aver disabilitato Siri, o Alexa, o Google Assistant se questi, per funzionare, hanno necessità di monitorare costantemente il mio microfono e se sono comunque parte integrante dei dispositivi che acquistiamo?

A livello tecnico, esistono numerose dubbi e incertezze.

Molti ricercatori, ad esempio, stanno lavorando attivamente alla possibilità di realizzare questo genere di servizi e funzionalità in modo da poter preservare la privacy e i diritti delle persone.

Ad esempio, persone come Carmela Troncoso sono diventate le paladine di una “European Way” della privacy, nell’impegno a sviluppare tecnologie decentralizzate.

Seppure l’annuncio di Google e Apple lasci intendere tecniche implementative che raccolgono alcuni elementi di questi metodi decentralizzati, nulla si può ancora dire su come effettivamente saranno realizzate queste funzionalità. O sul livello di trasparenza del codice e degli algoritmi.

Tutto questo, inoltre, avviene in un mondo in cui cambiare poche righe di codice può mutare anche radicalmente il comportamento di un software.

 

logo Apple Google

 

Questo annuncio ha ovviamente un peso politico e sociale che trascende le sue caratteristiche tecniche e di servizio.

Un primo livello di priorità riguarda le implicazioni connesse al potere e alla sua gestione ad opera delle istituzioni tecnologiche e computazionali.

Le loro posizioni nei mercati, in questo caso Google ad Apple – gli consentono di raggiungere con le loro piattaforme miliardi di dispositivi che sono ormai diventati le nostre più preziose estensioni esistenziali. Ciò significa riuscire ad esercitare un potere psicologico, cognitivo, percettivo, relazionale e sociale di enorme portata su miliardi di persone.

Un genere di potere sconosciuto anche ai più potenti governi nazionali o sovranazionali.

Anche la “European Way” alla privacy, purtroppo, vale pochissimo se non “compliant” con Google, Apple, Amazon e gli altri colossi, capaci di esercitare pressioni enormi anche solo fornendo soluzioni già funzionanti e pronte all’uso sulle loro piattaforme, con i loro standard di privacy, proprietà intellettuale, raccolta ed uso dei dati.

Si può, anzi, affermare che stiamo assistendo all’ennesimo spostamento di potere dai governi nazionali e sovranazionali a quelli computazionali – come è già avvenuto a più riprese tutte le volte in cui le grandi piattaforme sono state in grado di offrire servizi gratuiti alla cultura, ai musei, alla ricerca, di fatto entrando con forza nei loro processi deliberativi, decisionali, educativi, sociali e psicologici.

Al livello successivo si collocano le questioni legate all’implementazione di queste soluzioni  nella società.

Cosa vuol dire, ad esempio, che per poter fruire di un servizio del mio Servizio Sanitario Nazionale – che pago con le mie tasse – devo diventare – necessariamente e di fatto – un utente delle piattaforme di Apple e Google?

Che implicazioni ha questo fatto a livelli sociali, psicologici, dell’accessibilità, dell’inclusione ed esclusione dalla vita pubblica dei cittadini?

Tutti questi problemi, dai più grandi ai più piccoli, ne nascondono uno più grande, di tipo esistenziale.

Non siamo più gli esseri umani di una volta, quelli per cui e con cui il patto sociale e tutte le definizioni fondamentali che lo manifestano è stato creato: identità, democrazia, economia, ambiente, comunicazione, istruzione, società, scienza, ed altri.

A partire dalle basi, per esempio con l’identità.

 

Pechino, foto Ap
Pechino, foto Ap

 

Nell’epoca del digitale, quella che ci viene proposta come “identità digitale” nelle attuali versioni burocratiche e amministrative, è quanto meno di “digitale” si possa pensare.

Le identità digitali possono infatti avere numerose modalità differenti: possono corrispondere a un login (identità individuale), ma possono anche essere anonime; i login possono essere condivisi, oppure possono esistere accessi multipli ad una stessa identità che si espone collettivamente (es: il condominio, gli abitanti del quartiere, i tifosi di una squadra), nascondendo i dettagli di tutti gli individui che la compongono; le identità digitali possono anche essere temporanee (un login che funziona per un certo tempo e poi smette) o transitive (ti lascio usare il mio login); oppure ancora ricombinazioni e variazioni (ad esempio l’identità dei partecipanti ad un certo evento potrebbe essere gestita digitalmente come identità collettiva e temporanea, senza necessità di rivelare alcun dato personale dei singoli individui).

E queste sono tutte caratteristiche native dei sistemi digitali e dei modi con cui possiamo interagirvi: questo è il digitale.

Invece, l’attuale versione dell’“identità digitale” è una copia realizzata digitalmente di una carta di identità o di un passaporto: non ha nulla di digitale ed è, semplicemente, una idea “analogica” trasferita con difficoltà nel dominio del digitale per non doversi porre domande sul cambiamento dell’essere umano e sul suo mutato rapporto con le altre persone, con le aziende e con le istituzioni.

Questo genere di fenomeno si ripete sistematicamente.

Con l’aggravante che, invece, sono i grandi operatori della tecnologia – proprio come Google e Apple – ad aver capito questa trasformazione.

E, in virtù dell’aver capito, causato e accolto il cambiamento dell’essere umano, si trovano a poter essere “istituzioni globali di fatto”, capaci di dialogare con i governi e spesso di imporre le proprie decisioni, anche se prive di legittimazione democratica.

Questo vale per il nostro ambiente e la nostra società, ormai popolati di persone, persone giuridiche, alberi e animali, ma anche di robot, intelligenze artificiali, edifici senzienti, tutti governati da istituzioni computazionali. Per la nostra capacità di comunicare, di imparare e di conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, ormai largamente mediata da intelligenze artificiali ed algoritmi.

Sono questioni di primaria importanza, le fondamenta della società. Ne va della nostra capacità di immaginare il potere, oggi e in futuro, di progettare modi in cui vivere e godere non solo dei nostri diritti e libertà, ma anche di senso, bellezza, relazioni significative e gioia di esistere.

Salvatore Iaconesi è artista, ricercatore e designer. Ha fondato insieme alla moglie Oriana Persico Art is Open Source and HER: She Loves Data, i centri di ricerca che usa per esplorare la trasformazione umana nell’epoca dei Dati e della Computazione ubiqua. Insieme ad Oriana ha scritto Digital Urban Acupuncture (Springer, 2016), La Cura (Codice Editore, 2016), Read/Write Reality (FakePress Publishing, 2011), Romaeuropa FakeFactory (DeriveApprodi, 2010) e Angel_F: diario di vita di un’intelligenza artificiale (Castelvecchi, 2009).