Evo Morales offre un crocifisso con falce e martello al papa. Lui, un po’ stupito, sorride. Morales alza il pugno chiuso. E’ entrata così nel pieno la seconda tappa del viaggio di Bergoglio in America latina. Il papa è in Bolivia e domani partirà per il Paraguay. Morales ha offerto il crocefisso “comunista” in ricordo del sacerdote Luis Espinal, gesuita, giornalista e cineasta, ucciso dai paramilitari il 22 marzo del 1980. Una voce scomoda dalla parte degli ultimi, quella di Espinal, che tutti chiamavano “padre Lucho” e che ha camminato a fianco dei comunisti. Pare sia stato lui a disegnare il crocefisso con la falce e martello. In molti oggi vorrebbero vedere Espinal beatificato come monsignor Oscar Romero, ammazzato in Salvador il 24 marzo dello stesso anno.

Bergoglio si è raccolto in preghiera nel luogo in cui fu ritrovato il corpo martoriato del gesuita boliviano: «un fratello che credeva nel Vangelo – ha detto – e che il Vangelo ha onorato». Una precisazione simile a quella che aveva già fatto in precedenza, durante il dialogo in Vaticano con i movimenti popolari. Allora aveva detto: «E’ strano, se parlo di terra, casa e lavoro, c’è chi dice che il Papa è comunista: non si capisce che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo».

All’aeroporto di La Paz, Morales ha messo al collo del papa un altro dono simbolico e significativo: la “chuspa”, una borsa artigianale andina che serve a trasportare le foglie di coca. Un ottimo rimedio per il mal di altura, visto che La Paz si trova a oltre 3.000 metri sul livello del mare. Un modo, però, di ricordare le origini di “Evo”, che viene dal sindacato dei cocaleros e che ha fatto di quelle lotte sindacali un punto forte della sovranità del suo paese: sottraendolo alla presa delle politiche nordamericane basate sulla «lotta al narcotraffico» e alle imposizioni del Fondo monetario internazionale.

Bergoglio ha detto che apprezza i cambiamenti prodotti nel paese dal socialismo andino e gli sforzi per includere a ogni livello le minoranze. Ha sottolineato il valore della costituzione «che riconosce i diritti degli individui, delle minoranze e dell’ambiente». Si è rallegrato per essere arrivato in una nazione «che si definisce pacifista, che promuove la cultura della pace e del diritto alla pace». Quindi, seppur con diplomazia, ha preso posizione su un tema politico che sta a cuore a Morales: la richiesta di uno sbocco al mare per la Bolivia, perso dopo la guerra del 1879 con il Cile.

Una disputa che il presidente boliviano ha deciso di portare alla Corte internazionale di giustizia, suscitando le proteste del Cile. La Bolivia chiede alla Corte di obbligare il Cile a discutere e a mantenere le promesse ventilate in diverse occasioni. Un tema affrontato anche di recente da Morales in un nuovo incontro con la sua omologa cilena Michelle Bachelet. Durante il primo mandato di Bachelet era stata stilata un’agenda in 13 punti, poi lasciata cadere dal successivo presidente di destra Sebastian Piñera. «Sto pensando al mare»,- ha detto Bergoglio e ha auspicato «un dialogo franco e aperto per evitare conflitti tra paesi fratelli. Oggi – ha aggiunto – è tempo di integrazione».

Un papa “bolivariano” che lascia intendere il suo sostegno al progetto della «Patria grande» sognato dal Libertador Simon Bolivar e al quale si richiamano i presidenti socialisti come Nicolas Maduro in Venezuela, Rafael Correa in Ecuador – dove il papa ha cominciato il suo viaggio – e lo stesso Morales.

Ieri Bergoglio è arrivato a Santa Cruz. Dopo aver celebrato una messa alla presenza di migliaia di fedeli in abiti tradizionali, si è recato al Secondo incontro con i movimenti popolari, riuniti per discutere di terra, casa, lavoro e integrazione. In serata – troppo tardi per i nostri orari di chiusura – Bergoglio ha parlato ai rappresentanti dei cinque continenti – oltre 1500 – che discutono sulle tre T (Tierra, Techo, Trabajo).

Ieri, uno dei panel s’intitolava “Techo, la ciudad y los movimientos populares” (Tetto, la città e i movimenti popolari). «Perché molti di noi non hanno un tetto e le case ci sono solo per la vendita e la speculazione?», ha esordito Valerio Lazaro della Confederacion Sindical de Trabajadores en Costruccion di Bolivia, uno dei coordinatori del panel. E il vescovo brasiliano Guilherme Werlang ha fornito la sua analisi sulle cause che lasciano senza tetto milioni di esseri umani in tutto il pianeta: «Solo chi ha soldi può avere una casa – ha detto riprendendo i temi dei discorsi papali – perché l’esclusione e la disuguaglianza è un peccato sociale frutto di un sistema infernale che venera il dio denaro». Quindi, il vescovo ha esortato: «Uniti, con coraggio vinceremo questo diavolo che è il capitale».

In apertura del Secondo incontro, precedendo il discorso di Evo Morales, il cardinale africano Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio di giustizia e pace, ha usato parole ancora più decise: «Il grido, la protesta e la pressione dei poveri sono di vitale importanza perché i potenti del mondo comprendano che così non si può continuare. La Chiesa vuole ascoltare e unirsi a questo grido. La Chiesa vuole unire le sue mani in questo processo e aiutare ogni cooperativa sociale, ogni comunità contadina… Bisogna rispettare le forme proprie di far politica dei contadini e degli indigeni, il loro modo di sviluppare l’economia popolare e di proteggere l’ambiente».