Joe Biden, nel suo discorso al Congresso, avrà pure, come ha scritto Fabrizio Tonello, segnato una svolta dal neocentrismo di Obama e Bill Clinton. Ma ha purtroppo confermato che la dottrina Monroe e del «destino manifesto» (di superiorità degli Usa) è nel dna dei presidenti Usa.

In campagna presidenziale Biden aveva detto che avrebbe eliminato la politica fallimentare di Trump verso Cuba (e in generale l’America Latina). Nella piattaforma del Partito democratico aveva messo in chiaro che tali cambiamenti sarebbero stati «rapidi» in quanto un presidente può togliere con un tratto di penna le misure presidenziali del suo predecessore (oltre 100 contro Cuba) senza rendere conto al Congresso. Biden in 100 giorni non ha eliminato nemmeno le tre più urgenti: per favorire la ripresa delle rimesse dei cubano-americani, la ripresa dei voli verso l’isola e del programma di riunificazioni dei famigliari cubani. A costo politico zero, sarebbe stata anche l’eliminazione del divieto di esportare a Cuba materiali medico-farmaceutici necessari per la lotta al Covid.

Tutte le 240 misure e sanzioni di Trump restano valide. Cuba non è la priorità, continuano a ripetere gli uomini (e donne) di Biden. Mentre «la revisione» della politica verso Cuba è in corso, l’isola è stata mantenuta nella lista dei paesi che favoriscono il terrorismo e si continua a ripetere che «la difesa dei diritti umani sarà il pilastro» delle future relazioni con Cuba. E intanto la destra repubblicana è scatenata contro l’isola.

Per non parlare dell’accordo di Biden con il presidente colombiano Duque – il cui rispetto dei diritti umani ha comportato centinaia di assassini di leader sociali o ex guerriglieri- per tornare a fumigare i campi di coca e buttare nel cestino gli accordi di pace governo-Farc firmati all’Avana.