Il primo maggio il Marocco avrà sicuramente la sua app di tracciamento mentre ad oggi l’Italia ancora non sa cosa proporrà il Ministero dell’Innovazione per orientare il ritorno alla libera circolazione.

Il dossier preparato dal gruppo di lavoro della Ministra Pisano con le specifiche del dispositivo che sarebbe stato selezionato è sul tavolo del Presidente del Consiglio. Una sola pagina bianca: quale sarà il soggetto pubblico che gestirà la piattaforma, e di conseguenza i dati?

Su questo aspetto in particolare è in corso una vera partita a scacchi nel governo.

Mentre la candidatura naturale è quella del ministero della Sanità, e specificatamente la direzione generale epidemiologia e big data, si moltiplicano le spinte per spostare in ambito di Protezione Civile l’incombenza, probabilmente nella previsione che la mancanza di esperienze e specializzazioni porterebbero il dipartimento ad appoggiarsi a consulenti esterni, magari privati, come pullulano nel comitato di esperti che affianca il vertice del ministero dell’Innovazione.

La gestione da parte dei tecnici della Sanità garantirebbe anche gli aspetti della privacy individuali in virtù del segreto professionale a cui sono tenuti i sanitari.

Dettagli che non frenano minimamente i grandi monopolisti della Silicon valley che bene comprendono come la pandemia sia un’occasione per chi vuole mettere le mani su dati sensibili.

Come dimostra la mossa del cavallo che a Pasqua hanno annunciato, per la prima volta insieme, Google e Apple che pensano di unire i loro due sistemi operativi del mercato mobile, iOS e Android, per veicolare tutte le app dei singoli paesi.

Un’offerta che che non può non porre problemi e temi seri, che afferiscono proprio alla dinamica dei poteri e alla natura della democrazia, inevitabilmente collegata con il nodo del controllo dei dati.

Sia Google che Apple sono titolari di una dotazione immensa di dati, che paese per paese, località per località, potrebbe risultare preziosa nella georeferenziazione dei flussi di comunità portatrici dell’infezione.

Pensiamo a cosa successe in Lombardia nel mese di febbraio, prima con l’ingolfamento dei treni pendolari per l’incidente del 6 febbraio alle porte di Milano, poi con la partita Atalanta/Valencia, infine con la trasmissione del virus negli ospedali da parte del personale sanitario indifeso e non attrezzato.

Sono tre dinamiche che potevano essere rintracciate e seguite con grafi ricavati dalla combinazione di più data set, a partire dallo sviluppo delle query su Google.

Il New York Times nei giorni scorsi ha documentato come seguendo l’espressione I can’t smell, ho perso l’olfatto, su Google trend sia stato possibile mappare la dinamica delle incubazioni della malattia che si manifesta proprio con la perdita dell’olfatto.

Tanto più se queste informazione possono poi essere combinate e incrociate con quelle di Apple sulla mobilità telefonica.

Il punto dunque non è quello di una violazione che si genererebbe con un uso dei dati da parte di soggetti pubblici, quanto il fatto che solo soggetti privati oggi sono in grado di ricostruire l’intera identità psico-emotiva di un individuo, in tutto il mondo, collocandolo in ogni istante in una data posizione geografica.

La combinazione di queste due informazioni rende i giganti della Silicon Valley poteri separati non solo dallo stato ma anche dal mercato.

Infatti Google, Apple, Facebook, Amazon, Microfot, il cosidetto Gafam, sono oggi in grado di svelare ogni variabile delle transazioni commerciali: sanno cosa voglio, dove lo voglio, con cosa lo voglio usare e combinare e per chi lo desidero.

Ora, in presenza di un’emergenza sanitaria, in cui dati e sicurezza sono strettamente connessi, si deve capire quale sia la variabile dipendente: la sicurezza, come ha teorizzato l’Economist, chiedendo una rapida ripresa della produzione, costi quel che costi; oppure la proprietà dei dati, come lo stesso nuovo regolamento europeo GDPR afferma in caso di una minaccia globale quale un’epidemia.

La disponibilità esibita da Google e Apple dimostra che i loro dati sono essenziali, i loro server irrinunciabili, i loro sistemi operativi necessari per allestire una bussola globale che guidi realmente in sicurezza la mobilità della popolazione planetaria.

A chi chiedere questa disponibilità? Con quale autorità? E quale ragione? Ma soprattutto quale cultura politica, quale organizzazione e istituzione vorrà cogliere quest’occasione per integrare nel servizio universale sanitario l’idea che i dati siano bene comuni, indisponibili e non commercializzabili?