I post di Facebook sul Covid-19 pubblicati dal sito web pro-Bolsonaro Jornal da Cidade Online sono i più letti in Brasile.

I post politicizzano la crisi sanitaria con articoli che attaccano i sostenitori delle misure di distanziamento sociale, come l’ex ministro della sanità Luiz Henrique Mandetta.

Attaccare coloro che vanno contro Bolsonaro è una strategia tipica dell’architettura di disinformazione a favore del presidente brasiliano, che continua a minimizzare la pandemia e vuole riaprire tutto per ragioni economiche.

Una strategia denunciata da Aos Fatos, associazione di giornalisti e fact checker, che ha mostrato come per sostenere le tesi del presidente dell’ultra destra vengono usati personaggi fittizi come autori.

La sua strategia di monetizzazione è collegata al sito web Verdade Sufocada, che è gestito dalla vedova di Carlos Ustra, torturatore sotto la dittatura militare che governò il Brasile fino al 1985. Il Digital Forensic Laboratory del Consiglio Atlantico lo ha confermato in uno studio recente.

Anche in Italia è successo qualcosa di simile quando la parlamentare Sara Cunial ha tenuto un discorso alla Camera dei deputati pieno di teorie sulla cospirazione Covid-19 amplificando le narrative di disinformazione di comunità online che le hanno offerto supporto sui social media.

Al centro delle accuse c’era Bill Gates, e un presunto piano di spopolare il mondo con vaccini che rendono sterili. La differenza con Bolsonaro è che il supporto è venuto prevalentemente da Youtube, dove i video della Cunial hanno ricevuto milioni di visualizzazioni.

Le «fake news» sono un problema cibernetico e psicologico. Le notizie false, prodotte con l’intento di modificare sentimenti e opinioni, sono una minaccia per la democrazia.

La disinformazione che fa perno sulle bufale è da sempre un’arma in mano agli Stati per mettere in crisi gli avversari e disseminare paura, informazione e dubbio. Una tecnica che, con l’aumentare dell’importanza dell’opinione pubblica che si esprime nei social, è sfruttata per delegittimare istituzioni e inquinare il dibattito scientifico.

Sappiamo che gli esseri umani non sanno distinguere tra notizie vere e notizie false, che spesso non vogliono farlo e che, al contrario di quanto accade con ii virus, invece di difendersi ne aiutano la propagazione per ottenere un vantaggio individuale.

Ma le «fake news» sono soprattutto un problema cibernetico per tre motivi.

Il primo è che le «fake news» proliferano sui canali social dove incontriamo amici e parenti di cui ci fidiamo e quelli che abbiamo selezionato come appartenenti alla nostra cerchia, il famoso «effetto bolla».

Il secondo motivo è la loro riproducibilità a costo zero che le rende virali.

Il terzo è il tipo di tecnologia usate per diffonderle: troll, meme e «fake video».

I troll automatizzati (bot) sono quelli che disturbano le conversazioni che abbiamo sui social. Ripetono alcuni messaggi in maniera ossessiva per dare l’idea di un largo consenso rispetto a notizie complottiste non verificabili e screditare tesi avversarie.

I meme, immagini e slogan ad effetto, sono spesso la loro arma principale. Le persone sono catturate da questa forma immediata di pseudoinformazione se coerente con la loro visione del mondo innescando i «bias» (vizi, ndr) cognitivi noti come il pregiudizio di conferma, le casse di risonanza e l’effetto «bandwagon» (letteralmente, salire sul carro del vincitore, ndr).

Infine i «deep fake» sono strumenti basati su algoritmi di intelligenza artificiale per produrre video e audio falsi in grado di mettere in bocca agli altri cose che nella realtà non hanno mai detto.

Sono questi gli strumenti della propaganda computazionale.