L’Unione Europea dovrebbe investire somme enormi pubbliche e private per reggere la «concorrenza» in particolare degli Stati Uniti. Lo ha sostenuto ieri all’Ecofin di Gent in Belgio l’ex presidente del consiglio e della Bce Mario Draghi al quale la Commissione Europea ha affidato un rapporto sulla «competitività» che sarà consegnato a fine giugno dopo le elezioni continentali.

Per Draghi il divario è «ovunque»: «nella produttività, nella crescita del Pil, nel Pil pro capite». «L’ordine economico globale in cui l’Europa ha prosperato è scosso» dall’alta dipendenza dall’energia russa, dalle esportazioni cinesi e dalla dipendenza per la difesa dagli Usa e dalla produzione industriale digitale.

Da soli gli Stati-nazione europei non colmeranno mai una differenza con l’economia statunitense pari a «mezzo trilione l’anno». Gli investimenti per recuperarla sono ingentissimi. Solo nella transizione verde e digitale servono 500 miliardi l’anno, per pagare i costi del taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 (800 miliardi all’anno, ha stimato la presidente Bce Lagarde; 75 miliardi da dare alla Nato e rispettare l’impegno del 2% di Pil all’anno in armi. Con i governi che hanno le mani legate dal patto di Stabilità, servirebbe mobilitare il risparmio privato per alimentare il capitalismo finanziario europeo. In Europa, avrebbe ricordato Draghi, prevale invece la frammentazione e 250 miliardi di euro all’anno s’involano verso Wall Street.

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L’alternativa sarebbe questa: attirare fondi privati facendo leva sul bilancio europeo e i capitali della Bei, oppure emettere debito comune come accaduto con i Pnrr. Draghi avrebbe proposto un’ipotesi: l’istituzione di un «fondo dedicato», di un «prestito» o di un «partenariato pubblico-privato», con un ruolo «significativo» della Banca europea degli investimenti, ora guidata dalla spagnola Nadia Calvino. Su questo il ministro tedesco delle finanze Christian Lindner sarebbe d’accordo. Non c’è invece accordo sugli Eurobond, sostenuta dal commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni. I paesi nordici e la Germania hanno accettato Next Generation Eu come un evento eccezionale dopo la pandemia. Ma non accetteranno una replica. Sembra invece tramontata l’ipotesi di un «fondo sovrano Ue» proposto da Von Der Leyen.

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I tempi della discussione saranno prevedibilmente lunghi, le soluzioni problematiche e non scontate. Ma, il grande rumore prodotto ieri da Draghi in Belgio, attesta una tendenza: l’Europa, oltre che Fortezza anti-migranti, si sta pensando come unità combattente e «resiliente» in un mondo in armi dove la transizione ecologica è coniugata con la difesa militare e la sicurezza di un «modello sociale» più disuguale, ingiusto e neo-autoritario. Il compito di Draghi, per ora, è concordare un promemoria sul cambio di paradigma con i governi e istituzioni che impegnerà la prossima Commissione Ue. Ne riparlerà martedì a Strasburgo.

Il rapporto non servirà solo per la “competitività”,  né solo per finanziare con centinaia di miliardi di euro la “transizione eco-digitale”, ma anche per coniugare la sicurezza militare con quella economica e sociale. Un’interpretazione autentica di questa svolta paradigmatica è stata data ieri da uno dei committenti di Draghi, il vice-presidente lettone della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. “È chiaro che la difesa-sicurezza avrà un posto molto più importante nella nostra agenda – ha detto Dombrovskis – Abbiamo un cambiamento di paradigma dal modello di catena di fornitura basato sull’efficienza al modello di catena di fornitura basato sulla resilienza. Ed e’ chiaro che anche la resilienza e la sicurezza economica non arriveranno a costo zero. Cio’ comportera’ dei costi”. Con il suo linguaggio di legno, un misto di tecno-burocrazia neoliberale, Dombrovskis non poteva però essere più chiaro sul modo in cui si intende articolare il militare, il tecnologico e il sociale in un nuovo paradigma.

“Sicurezza” è il concetto chiave di questo discorso: serve a simulare la “difesa” di un Welfare svuotato, aziendalizzato e ridotto al suo antonimo di Workfare; serve anche a rafforzare il securitarismo interno e la forza militare che si proietta all’esterno dei confini. Sicurezza significa in questo contesto anche cercare di recuperare terreno su un altro fronte della guerra contemporanea: quella commerciale e militare della produzione digitale (l'”intelligenza artificiale”).  L’insieme di questi fattori ieri è stato definito “geopolitica” da Dombrovskis. Concetto che oggi ha sostituito quello di “resilienza” degli anni del Covid. Dal Green al militare. Dalla cura alla minaccia. Dalla solidarietà alla concorrenza. E’ l’Europa di oggi. Non sarà migliore quella di domani.