Nei dati relativi al vaccino russo c’è qualcosa che non torna. È quanto sostiene un gruppo di ricercatrici e ricercatori che esaminando i risultati positivi pubblicati dai medici russi ha scoperto diverse anomalie. Nei grafici pubblicati sulla rivista The Lancet apparirebbero stranamente più volte le stesse figure e dati un po’ troppo simili tra loro, anche se si riferiscono a ricerche diverse. Come se non fossero stati davvero raccolti durante un esperimento, ma copiati e incollati al computer per dimostrare la produzione di anticorpi nei volontari che hanno partecipato ai test.

Se ne sono accorti Enrico Bucci, Antonella Viola, Michele De Luca e altri nomi importanti dell’immunologia italiana e non. E hanno scritto una lettera aperta al direttore della rivista The Lancet Richard Horton (pubblicata anche sul blog di Bucci «Cattivi Scienziati») chiedendo l’accesso ai dati originali della ricerca. Solo così si potrà verificare se quelle strane somiglianze siano casuali o sintomo di contraffazione dei dati.

«È sorprendente dal punto di vista probabilistico che queste figure si ripetano identiche», spiega al manifesto Antonella Viola, immunologa all’università di Padova e una delle firmatarie della lettera. Si può arrivare a manipolare ricerche così rilevanti, come quelle su un vaccino contro il Covid-19? «In questo momento la politica sta condizionando in maniera importante questo ambito di ricerca. È diventata una questione politica come fu all’epoca la corsa allo spazio tra Usa e Urss». Non a caso, il vaccino russo si chiama «Sputnik V». «Quest’accelerazione dapprima della Russia, poi della Cina e ora annunciata anche dalla Food and Drug Administration statunitense è dovuta in primo luogo all’importanza del vaccino, ma anche al fatto che chi ci arriverà per primo potrà gridare vittoria in una sfida mondiale».

Dobbiamo diffidare anche degli altri vaccini? «Non credo che simili manipolazioni siano possibili nella ricerca accademica occidentale» sostiene Viola. «C’è un maggiore scambio di dati e trasparenza dei risultati. Difficile influenzare ricerche come queste negli Stati uniti o in Inghilterra. Non si può escludere che in altri paesi, in cui vige un regime di libertà diverso dal nostro, la questione politica possa aver giocato un ruolo. Se la nostra lettera avrà risposta, potremo verificarlo». Però anche lo studio che dimostrava l’inefficacia dell’idrossiclorochina, sempre su Lancet, era stato ritirato pochi giorni dopo le falsificazioni segnalate da altri scienziati.

Le riviste scientifiche sono in grado di filtrare le ricerche di dubbia validità? «No, e stavolta si tratta di anomalie piuttosto evidenti. In questo momento non c’è solo una corsa al vaccino, ma anche una corsa alla pubblicazione anche di lavori di scarsa qualità ma che possono apparire rilevanti» spiega Viola. «Se le riviste non lasciano agli esperti il tempo necessario a rivedere in maniera approfondita le ricerche da pubblicare, fanno fatica ad accorgersi di errori anche clamorosi». Come si potrebbe rimediare? «Moltissime riviste oggi richiedono di pubblicare insieme alle ricerche anche i dati “grezzi” originali. Poi ci sono gli archivi dei cosiddetti “preprint”, ricerche divulgate online e accessibili a tutti prima di essere pubblicate dalle riviste scientifiche. Possono rappresentare un’opportunità anche per le riviste, perché altri ricercatori possono leggere gli studi, accorgersi di eventuali falle nelle ricerche e segnalarle pubblicamente. Il problema è che queste ricerche le leggono anche i giornalisti, che spesso raccontano le ricerche prima che la comunità le abbia vagliate».