Nell’ultima settimana di giugno, negli stati occidentali del continente americano le temperature hanno superato di 20 gradi le medie stagionali, toccando i 50 gradi nella provincia canadese del British Columbia: più di 700 morti, 150 incendi, città evacuate e in fiamme. Gli esperti avvertono che il caldo aumenterà la siccità e il rischio di incendi, condizioni che potrebbero peggiorare a luglio e agosto. Nello stesso periodo, vicino a Verchojansk in Siberia le temperature hanno superato i 47 gradi, accelerando lo scioglimento del permafrost e le emissioni di gas serra. Alte temperature e sconvolgimenti del clima si sono registrati anche in Europa: il mese di giugno è stato il più caldo di sempre in Olanda e Finlandia, grandinate e nubifragi hanno devastato importanti aree continentali (Vosgi e Baden-Wüttenberg).

Proprio nel momento in cui parte della popolazione mondiale faceva i conti con questi eventi estremi e i suoi tragici effetti, sono trapelate le bozze del nuovo rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental panel on climate change) contenente un inequivocabile messaggio: «Preparatevi all’impatto». Le anticipazioni del report completo, che sarà pubblicato nel 2022, sono allarmanti: chi nasce oggi e, quindi, avrà 30 anni nel 2050, si troverà in un mondo con più persone che soffrono la fame e che vivono in povertà. Quel mondo dovrà affrontare fenomeni di ampia portata: migrazioni di massa, rischi di malattie veicolate da insetti e virus, perdita di capacità produttiva per le crisi del settore agricolo, dell’allevamento e pesca. La terra e gli ecosistemi si modificheranno di conseguenza. Per l’uomo la situazione sarà più complicata: la nostra vita dipende dalla presenza di condizioni climatiche specifiche, senza le quali non possiamo sopravvivere. Le conseguenze dello scenario prospettato dall’Ipcc sono chiare: occorre riconsiderare le interdipendenze tra modello economico, soddisfazione dei bisogni e consumi energetici.

La transizione ecologica ed energetica, al centro del Pnrr italiano e dei fondi aggiuntivi, va in questa direzione con i suoi 222,1 miliardi di euro complessivi, di cui ben 68,6 miliardi, destinati all’asse strategico «Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica». Nel Piano, però, è assente la consapevolezza delle interdipendenze tra emergenza climatica, soddisfazione dei bisogni e modelli di produzione e distribuzione delle risorse. Una pesante carenza stando alle risultanze del recente studio pubblicato da Jefim Vogel (Università di Leeds) che mette in evidenza la necessità di disegnare e attuare la transizione ecologica a partire dalle relazioni tra clima, economia e sistemi di distribuzione delle risorse (Socio-economic conditions for satisfying human needs at low energy use: An international analysis of social provisioning, in Global Environmental Challenge, 2021). In quest’ottica, la transizione ecologica dovrebbe occuparsi di come soddisfare i bisogni umani e il benessere delle persone attraverso l’impiego di livelli sostenibili di energia. Oggi nessun paese è in grado di farlo. Tutti i 106 paesi analizzati sono più o meno insostenibili dal punto di vista energetico: solo 29 raggiungono livelli sufficienti in tutte le dimensioni considerate riguardanti la soddisfazione dei bisogni (salute, nutrizione, accesso all’acqua potabile, servizi igienici sicuri, istruzione, reddito minimo).

I paesi che effettivamente soddisfano i bisogni utilizzano almeno il doppio del livello massimo di consumo energetico che potrebbe essere sostenibile a livello globale, molti addirittura il quadruplo. Inoltre, i livelli di utilizzo dell’energia sono significativamente correlati con la soddisfazione dei bisogni solo fino a una certa soglia, mentre alti livelli di consumo di energia non sembrano necessari per il miglioramento del benessere delle persone.

L’altro aspetto interessante della ricerca è che fattori come qualità dei servizi pubblici, eguaglianza dei redditi, qualità delle istituzioni democratiche e accesso all’elettricità sono associati a una maggiore soddisfazione dei bisogni e a un fabbisogno energetico inferiore. Al contrario, la presenza di industrie estrattive e la crescita economica oltre livelli moderati di benessere sono associati a una minore soddisfazione dei bisogni e a maggiori fabbisogni energetici.
Transizione ecologica/energetica e modello economico non devono essere disaccoppiati: il miglioramento dei fattori di approvvigionamento virtuosi e l’abbandono di quelli dannosi consentirebbe una migliore soddisfazione dei bisogni a livelli di consumo energetico molto più bassi ed ecologicamente sostenibili. Ciò, conclude la ricerca, è però contrario alla politica economica dominante. Del resto, i cambiamenti climatici sono un fenomeno complesso, che richiede una visione politica capace di cogliere le interconnessioni tra ambiente, economia e benessere. Obiettivo ben al di là di classi dirigenti tecnocratiche che continuano a considerare lo sviluppo solo in funzione della crescita.