È di nuovo un richiamo all’intervento del legislatore, quello pronunciato ieri dalla Consulta riguardo il caso sollevato dal Tribunale di Venezia di due donne unite civilmente che si sono viste negare l’iscrizione all’anagrafe di entrambe come madri del bambino nato da una di loro, nel 2018 a Mestre, con la procreazione medicalmente assistita praticata all’estero. Per la Corte costituzionale – relatore lo stesso presidente Mario Morelli – spetta al legislatore «su temi così eticamente sensibili, ponderare gli interessi e i valori in gioco, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico».

INFATTI, SPIEGA l’ufficio stampa in attesa delle motivazioni della sentenza che saranno depositate nelle prossime settimane, «il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta “madre intenzionale” non risponde a un precetto costituzionale ma comporta una scelta di così alta discrezionalità da essere per ciò stesso riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività nazionale». Non è una questione da affrontare con le sentenze, dunque, ma con la politica. Tanto più vero – rilevano ancora i giudici, pur dichiarando inammissibili le questioni di costituzionalità – se si pensa che il legislatore potrebbe già da subito individuare, nell’«attuale disciplina sull’adozione in casi particolari», «varie soluzioni, tutte compatibili con la Costituzione», al fine di assicurare la «protezione del miglior interesse del minore in simili situazioni».

PERCHÉ È PROPRIO questo il punto più “caldo” della questione riguardante le coppie omosessuali (soprattutto dal punto di vista del Vaticano): i figli. Quelli negati dalla legge 40/2004 che vieta la maternità surrogata e, alle coppie omosessuali, l’accesso alla fecondazione assistita. E quelli negati ai genitori dello stesso sesso con figli avuti all’estero che, malgrado il riconoscimento di un giudice estero non possono ottenere la trascrizione di genitorialità nei registri dello stato civile italiano (come ha stabilito la Corte di Cassazione, a Sezioni civili unite, nella sentenza 8 maggio 2019).

A FINE GENNAIO però la Consulta dovrà pronunciarsi su un nuovo caso «di discriminazione, ancora più grave perché a danno di minori», spiega la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, l’avvocata che è riuscita a smontare pezzo per pezzo nelle aule di tribunale quasi tutta la legge 40. Gallo si riferisce al caso sollevato lo scorso 29 aprile dalla stessa Cassazione riguardo due uomini, coniugati in Canada e uniti civilmente in Italia, riconosciuti entrambi dalla Suprema corte canadese genitori legittimi del bimbo concepito tramite fecondazione eterologa e maternità surrogata, che non hanno però ottenuto dal Comune di Verona «l’inserimento, nell’atto dello stato civile di un minore, della indicazione del “padre d’intenzione”, che non è quello biologico».

ANCHE LE QUESTIONI di legittimità su cui si è espressa ieri la Corte Costituzionale riguardano la legge sulle Unioni civili e il decreto sugli atti dello stato civile. Secondo il Tribunale di Venezia che ha sollevato il dubbio, «la disciplina vigente, nell’escludere la registrazione nell’atto di nascita del bambino come figlio di entrambe le donne, violerebbe i dritti della cosiddetta madre intenzionale e quelli del minore, e determinerebbe una irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale».

Ora la Consulta chiama in campo nuovamente il legislatore che, «pur riconoscendo – spiega ancora Gallo – diritti alle coppie dello stesso sesso con la legge sulle Unioni civili, non ha previsto la possibilità piena di fare famiglia a tante coppie con figli che nel nostro Paese non hanno le medesime tutele e diritti di altri bambini nati da coppie di sesso diverso. Questa è una discriminazione che dovrà essere rimossa dal legislatore. O, in assenza di volontà politica, dalle Corti. Perché vale il principio di uguaglianza dei bambini, nati grazie all’amore dei propri genitori indipendentemente dal sesso degli stessi. La legge 40, infatti, prevede che “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. Eppure, tutto ciò non vale per le coppie dello stesso sesso».