Bruno Giordano, nuovo capo dell’Ispettorato nazionale del Lavoro (Inl), ieri c’è stato l’atto di insediamento ufficiale. Ma il suo nome era già uscito a maggio ma ha dovuto attendere il “fuoriruolo” del Csm. È riuscito a lavorare anche informalmente in questi mesi?
Io già dopo la nomina del consiglio dei ministri e la firma del capo dello Stato sul decreto ero già attivo in ufficio.

Il nuovo capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro Bruno Giordano

Lei ha una lunga carriera di magistrato specializzato in sicurezza sul lavoro. Ha sempre dato importanza alla necessità di mettere in rete le varie istituzioni – forse troppe – che si occupano di sicurezza sul lavoro.
Sì, ho accettato questo incarico perché l’Ispettorato è il perno nazionale della prevenzione in materia di lavoro, sia di regolazione del lavoro nero che di sicurezza del lavoro. Poi ci sono le Asl che sono oltre 100 che lavorano in modo diciamo monocratico e rispondono alle Regione e dunque alla politica – e ci sono in italia 21 politiche autonome – e questo è un problema.

Il suo obiettivo primario è avere una anagrafe nazionale precisa per sapere con certezza quante aziende vengono controllare, quando e – soprattutto – da chi. Possiamo stimare che tempo sarà necessario per farlo?
Il quanto dipende dalla disponibilità dagli altri enti, Inps, Inal e altri organi di vigilanza. In termini quantitativi basterebbe poco per avviare l’interoperabilità. E’ una necessità, non un obiettivo. Questo lavoro in parte è già stato avvivato. L’Ispettorato esiste da 4 anni manon lo ha realizzato. Serve che le difficoltà vengano subito sbloccate.

Un anno?
Non sono in grado perché siamo noi che chiediamo di accedere alle banche dati degli altri. Potrebbe servire anche molto molto meno.

Intanto nel frattempo arriveranno altri 900 ispettori.
Sì, è un’iniezione importantissima voluta dal ministro Orlando. Il bando di domanda è stato riaperto e si chiude a fine agosto e le prove saranno gestite dalla funzione pubblica del ministro Brunetta e contiamo di avere già entro la fine dell’anno anche se devono essere formati.

Che cosa è richiesto per partecipare al bando?
E’ prevista per gli ispettori tecnici la laurea in ingegneria, per gli altri la laurea breve.

La carenza degli ispettori è una carenza cronica. Nel 2008 il governo Prodi assunse 2 mila ispettori. Poi cos’è successo?
Con il testo unico del ministro Damiano furono assunti 2mila ispettori. Da quel momento gli ispettori delle Asl sono diminuiti della metà.

E questo per volere di chi?
Per volere di ciascuna Regione: tagli alla sanità o gestioni politiche, perché il taglio alla sanità non è detto che provochi la diminuzione degli ispettori. Ora sono poco più di 2 mila. E’ un po’ un paradosso che questi 2mila ispettori delle Asl abbiamo una competenza generale ma rispondono all’amministratore generale e la politica di turno mentre i nostri 5 mila l’abbiamo parziale.

Il Titolo V andrebbe cambiato.
Direi qualcosa di incostituzionale. Diciamo che se avessimo una banca dati unica o comunicante con tutte le Asl molti dei problemi sarebbero risolvibili.

Il segretario generale della Fillea Cgil Alessandro Genovesi rivendica da anni la richiesta della Patente a punti per le imprese: chi non rispetta le regole non può partecipare agli appalti, premiando chi invece investe in sicurezza. Ricordando però che la norma era già prevista nel Testo unico del 2008 all’articolo 27.
La patente a punti è un’idea buona ma in 13 anni non è stata realizzata non solo per ragioni politiche ma anche per ragioni tecniche. I ministri che si sono succeduti sono stati di tutti gli orientamenti politici. L’idea è giusta ma la norma prevede tutto un iter normativo che presupporrebbe accordi di verifiche e pareri e anche di veti incrociati.

Imprese-sindacati?
Sì, si parla di accordo interconfederale. Infatti in 14 anni non si è mai fatto. Peraltro l’articolo 27 prevede la patente a punti solo per l’edilizia, mentre noi dobbiamo occuparci di tutti i settori.

E allora che fare?
Ritengo che sia più utile e più efficiente che gli organi di vigilanza abbiano rafforzato il potere di sospensione dell’attività di impresa quando rilevano reati di un certo tipo o una quota di lavoratori a nero.

Ora è del 20%.
Abbassando questa percentuale e aumentando l’efficienza del potere di sospensione gli ispettorati arrivano in un luogo dove trovano delle violazioni e sospendono le attività per metterle a norma. Allora lì si fa un favore sia all’impresa che ai lavoratori e si evitano incidenti e morti.

Per farlo serve una modifica legislativa.
Bisogna modificare l’articolo 14 del Testo unico.

Ne ha già parlato con il ministro Orlando?
Ci confronteremo nei prossimi giorni su questa idea concreta.

Il suo predecessore era un carabiniere, ma Inl fin dalla sua nascita – che secondo il Jobs act doveva unificare tante istituzioni – non sembra aver funzionato. Lei ha trovato una situazione difficile: qual è il più grosso problema dell’Istituto?
Un’esigenza urgente di riorganizzazione: amministrativa, investigativa, ispettiva e di formazione.

I dati anche sul numero dei morti e il loro riscontro mediatico sono diversi: se l’incidente avviene in una azienda del Nord c’è grande eco, ma i morti sono sempre tre al giorno anche se non ne veniamo a conoscenza. C’è un modo giusto per comunicare la gravità della situazione.
Il modo giusto è occuparsi di questo dramma che ho definito crimine di pace non solo quando c’è un evento particolarmente mediatico – la ragazza che muore a 20 anni – ma anche dei 600 mila infortuni all’anno che sono in media uno ogni 50 secondi. In più dobbiamo parlare anche delle malattie professionali, ad esempio i morti per amianto che corrispondono ad un costo sociale e economico pesantissimo per l’intero stato.

Si parla tanto di mancanza di cultura da parte delle imprese. Nella sua lunga carriera ha notato una modifica nella consapevolezza delle aziende sull’importanza della sicurezza?
Le rispondo provocatoriamente. Quando si dice che c’è un problema culturale lo si fa per evocare una questione superiore per non affrontare un tema reale, della realtà lavorativa. Negli anni sicuramente oggi ci sono competenze e professionalità che non c’erano, dentro e fuori le imprese, consulenti sulla sicurezza ad esempio. Di contro abbiamo avuto alcune variabili di tipo economiche e sociale che hanno portato le imprese a essere disattente alla sicurezza. Mi riferisco ai flussi migratori – sul lato dell’offerta di lavoro – e alla crisi che ha portato a puntare tutto sul taglio del costo del lavoro, compresa la sicurezza. E c’è naturalmente la saltuarietà dei controlli che portano a pensare: “Risparmio, tanto la farò franca”. Tutto questo si sintetizza nella legalità del lavoro, serve la certezza dei controlli.