Negli ultimi mesi si sono verificati diversi “veti” ad attività riguardanti Palestina e Israele, da parte di istituzioni pubbliche: a Roma il ritiro dell’aula del Comune dove si sarebbe dovuto tenere un incontro su Gaza con Ann Wright (ex colonnella dell’esercito americano), la cancellazione di film palestinesi dalla programmazione del Cinema L’Aquila e il ritiro all’ultimo momento del Teatro Palladium-Università Roma Tre per la proiezione del film “3000 notti” di Mai Masri, regista palestinese.

E il 22 marzo La Sapienza ha negato la sera prima l’accesso ad un’aula dell’università per il seminario «È tempo di giustizia in Palestina. Le responsabilità dell’Europa», nell’ambito della tre giorni di mobilitazione La nostra Europa, in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma.

Episodi analoghi si stanno verificando anche in altre città e paesi europei, sotto pressioni esterne che – come si legge nella lettera aperta al rettore della Sapienza scritta da Michel Warshawski (pubblicata dal manifesto il 31 marzo) – fanno capo all’ambasciata israeliana e/o ai suoi agenti locali.

Fatti inquietanti, offensivi per palestinesi e Palestina, ma che rappresentano anche una ferita grave alla nostra democrazia e a quella dell’Europa, un attacco alla libertà di opinione e di espressione, una regressione a cui devono reagire non solo le istanze democratiche e associative del nostro paese, ma lo stesso governo italiano.

Ne abbiamo parlato con Michel Warshawski, ebreo israeliano e attivista antisionista, già promotore del movimento comunista israeliano Matzpen, fondatore dell’associazione israelo-palestinese Alternative Information Center e autore di “Il sogno andaluso” in cui prospetta la soluzione di uno Stato unico democratico per palestinesi e israeliani.

In Europa e ancor più in Italia, in giorni recenti, si svolge un’azione di “boicottaggio” di istituzioni pubbliche nei confronti di iniziative culturali e politiche su Palestina/Israele. Questa “stretta” è collegata a una regressione nella politica interna di Israele?

In Israele si sta verificando più che una regressione. Lo Stato di Israele sta cambiando natura. Lo stesso Avraham Burg, già presidente di Israele e della Knesset, ha parlato di fascismo. Abbiamo sempre parlato di Stato ebraico democratico: adesso il ministro dell’Istruzione, Naftali Bennett, ha apertamente dichiarato che quello che è da sottolineare come fondamentale in questa definizione è l’“ebraico”, non il democratico.

E alle parole seguono i fatti: una serie di nuove leggi discriminatorie nei confronti dei palestinesi, anche di Israele. La legge detta della regolarizzazione permette di espropriare un proprietario palestinese e passare la sua terra a uno ebreo. Prima si adducevano ragioni di sicurezza, per la località in cui era situata la terra, ora non servono più motivazioni.

È da notare che la Corte Suprema finora ha espresso qualche dubbio di incostituzionalità, ma la ministra della Giustizia ha subito dichiarato che se la Corte Suprema intende prendere una posizione formale su questo, sarà creato un articolo speciale che le proibisce di esprimersi relativamente a decisioni di governo.

Come può avvenire una cosa del genere nell’“unica democrazia del Medio Oriente”?

Si sta andando verso la dittatura della maggioranza. Il governo dice: noi siamo la maggioranza quindi esprimiamo la volontà popolare, questa è assoluta, non può essere contraddetta dalla Corte Suprema. Passo dopo passo si opera un cambiamento profondo, si comincia dalla modifica della Corte Suprema e dalla repressione sui media, che sono i due argini finora esistenti.

Il governo di Benjamin ‘Bibi’ Netanyahu con la ministra della Giustizia Shaked hanno deciso di abbatterli entrambi. La Ministra ha cominciato con la Corte Suprema: sostituisce, nella commissione incaricata di scegliere i giudici, coloro che vanno in pensione con suoi nominati, cioè fa scomparire l’”attivismo giuridico”, la possibilità per i giudici di intervenire sulla natura delle leggi.

È chiaro che se la Corte Suprema perde questo potere, diventa una semplice corte d’appello. Sui mezzi di informazione, anche se non si può parlare ancora di censura, le ultime leggi rafforzano il discorso unico. Elemento discriminante diventa la fedeltà allo Stato. Vale per i deputati ma anche per gli organismi di informazione e culturali.

La ministra della Cultura ha dichiarato che verranno tagliati i fondi a chi non dimostra fedeltà allo Stato. Il Teatro nazionale si è visto tagliare i fondi perché ha presentato una pièce teatrale scritta in carcere da un ex prigioniero politico palestinese. Come viene spiegato? Il bene pubblico va gestito dalla maggioranza eletta, dal governo. La ministra della Cultura è piuttosto incolta, ma ciò che conta è che è stata il generale dell’esercito che operava la censura militare su tutta l’informazione pubblica civile, censura scomparsa negli anni ’80.

Ti sei trovato di fronte al comportamento “censorio” dell’Università La Sapienza, che ha negato l’aula al seminario in cui tu eri uno dei relatori. E non è il primo caso.

E penso che non sarà l’ultimo. In Francia nel 2002 Sharon incontrò Cukiermann, presidente del Crif, il Consiglio dei rappresentanti della comunità ebraica, e disse esplicitamente che bisognava organizzare una controffensiva all’estero utilizzando l’antisemitismo contro giornalisti e politici. Dopo una pausa, dal 2008 – quando la campagna di boicottaggio contro lo Stato di Israele (Bds) ha cominciato a ledere l’immagine più che l’economia del paese – si è aperta una nuova fase.

Con il ministro degli Affari Esteri, Liebermann, è stata creata una task force per una strategia di attacco basata su propaganda e repressione, contro qualsiasi critica alla politica israeliana, non solo da parte del movimento Bds. Da un anno si è costituito un dipartimento con budget statale, incaricato di tenere sotto controllo e intervenire su Stati e istituzioni pubbliche, una vera e propria strategia governativa. Quanto è successo a Roma rientra in questa politica e di solito – penso al caso francese – c’è un collegamento con l’ambasciata israeliana del paese interessato.

–> Leggi la lettera dell’Università Sapienza di Roma qui