Non è bastato il cannoncino ad acqua di Lagarde a tranquillizzare i mercati. Tutt’altro. Milano sprofonda (-16,92%), peggiore seduta della sua storia, vola lo spread tra i nostri Btp ed i Bund tedeschi (arriva a toccare i 273 punti base). Come la fatica di Sisifo, tredici mesi buttati via in un giorno.

Soffre tutta l’Europa. Lo Stoxx Europe 600, che riunisce i 600 principali titoli della piazza continentale, ha chiuso con un ribasso del 10,9%, il più pesante di sempre. 790 miliardi di capitalizzazioni evaporati in una sola seduta.

E’ del tutto evidente che agire dentro gli schemi di sempre ora non basta più. Con la sola politica dei tassi d’interesse e della liquidità a buon mercato alle banche non si spegne un incendio che rischia di bruciare tutta la prateria.

Non è sufficiente più, nemmeno, l’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario, come ha fatto Draghi per quattro anni, peraltro con risultati modesti dal lato dell’inflazione. Non ce la si può cavare semplicemente con un altro «whatever it takes».

Bisogna agire, agire diversamente.

D’altra parte, a cosa serve dare liquidità in abbondanza alle banche se c’è un problema che investe contemporaneamente sia l’offerta che la domanda di beni e servizi?

Non è come la crisi del 2007-2008. Qui entra in gioco un altro fattore: la mobilità delle persone e delle merci e l’inceppamento della catena internazionale di produzione del valore. Non è una questione di fiducia tra le banche, di accesso al credito, di debiti da ripagare. Questo potrebbe venire dopo. E’ come se ad un tratto qualcuno avesse spento l’interruttore centrale. Gli anni di austerità che ci portiamo dietro hanno fortemente indebolito le difese immunitarie del nostro sistema economico, ora questa emergenza rischia letteralmente di metterlo in ginocchio.

Anziché dichiarare «non siamo qui per chiudere gli spread», Christine Lagarde avrebbe dovuto dire che la Bce, attraverso le banche nazionali, è pronta ad acquistare i titoli di stato dei paesi membri direttamente dal Tesoro e che per il debito europeo nel suo complesso la garanzia di Francoforte è illimitata. Porta in faccia agli speculatori.

Forse anche questa sua gaffe ha contribuito a terremotare le borse. Ma il problema è molto più strutturale. Chiama in causa la stessa architettura dell’Europa unita. C’è un problema sanitario enorme, migliaia e migliaia di persone possono perdere il posto di lavoro, tante piccole e medie imprese rischiano la chiusura. La fiducia è ai minimi e questo si riverbera sull’atteggiamento dei mercati, al netto di chi specula e scommette sulle catastrofi. Lo Stato deve assicurare posti letto in ospedale e un adeguato numero di personale sanitario. Gli ammortizzatori sociali devono essere rifinanziati. Chi sta a casa ha bisogno comunque di un reddito.

Ci vogliono più soldi.

Il governo ha deliberato uno stanziamento massimo di 25 miliardi di euro, sempre meglio che 7,5. Ma qui il gioco si fa duro. Non ci sono parametri europei che tengono. Le risorse finanziarie che l’Europa e la Bce possono mobilitare devono arrivare direttamente alla vita reale, non rimanere intrappolate nelle nebbie del sistema bancario.

Fino a quando la bufera non sarà passata, lo Stato dovrà garantire il prosieguo della produzione nei settori fondamentali dell’economia e, al tempo stesso, farsi consumatore, per sopperire al crollo della domanda privata e di quella estera. Anche perché i veri effetti collaterali di questa epidemia li vedremo nei prossimi mesi.

Il virus sarà certamente domato, ma i nostri Paesi si ritroveranno come usciti da una guerra. Ci vorrà allora un nuovo Piano Marshall e l’Europa non potrà essere d’intralcio.