L’accanimento dei 5Stelle contro le imprese editoriali in cooperativa o non profit, e contro Radio radicale, è esibito senza imbarazzi e senza ritegno dal capo politico Di Maio, seguito da tutti gli stati maggiori e minori pentastellati.

Sempre pronti al compromesso su ogni partita politica dell’agenda leghista, ma inflessibili quando si tratta di informazione e di giornali, perché allora attaccano a testa bassa l’alleato di governo. Come è accaduto ieri dopo il voto leghista a favore di Radio radicale, «gravissimo» secondo il vicepresidente Di Maio che ha gonfiato il petto: «Ne risponderanno».

Proprio i 5Stelle, quelli della Costituzione più bella del mondo quando dall’altra parte della barricata c’era Renzi, diventano negazionisti militanti di un diritto costituzionalmente garantito, vittime di un furore ideologico per il libero mercato dell’informazione, pari solo alla profonda e congenita arretratezza culturale del paese dell’uomo qualunque.

Una mentalità, certamente intrisa di conflitti di interesse (per la comunicazione dipendono da un imprenditore privato e da mamma Rai), ma soprattutto forgiata nell’impasto autoritario del vecchio guru, capace di costruire il movimento con l’alto insegnamento del vaffa day contro i giornali. Grillo, Di Maio e company non sanno che farsene della carta stampata, andare in edicola è una vecchia usanza che non capiscono.

Anzi, se tutto il settore soffre di una crisi da malato terminale, se siamo un paese avvelenato da potentati e concentrazioni editoriali, se la società ha un tasso di analfabetismo spaventoso, loro sono tranquilli, indifferenti. Li avete mai sentiti parlare di un libro, anche per sbaglio, in televisione?

Siamo contenti che alla fine, con l’accordo trasversale di tutti i gruppi parlamentari, Radio radicale sia riuscita a tirare un sospiro di sollievo.

L’emendamento approvato ieri mattina le garantisce i fondi per andare avanti.

Ma quello stesso emendamento ha invece escluso i giornali e tra quelli nazionali noi siamo il boccone prelibato. Poco importa se il bavaglio costerà migliaia di posti di lavoro in tutta le filiera della carta stampata.

Tra l’altro senza neanche risparmiare un euro visto che il Fondo per il pluralismo resta ma a disposizione del governo che distribuirà i finanziamenti pubblici a chi decide lui esserne meritevole.

Se non fosse purtroppo drammatico, sarebbe persino ridicolo che una cooperativa di giornalisti e tipografi come il manifesto, un gruppo di lavoro con stipendi da minimo contrattuale per tutti, con circa due terzi del suo bilancio dovuto (a proposito di mercato) alle vendite e alla (poca) pubblicità, sia oggi la vittima designata della non più invincibile armata pentastellata.

Sì perché alla fine della giostra, se Radio radicale ha trovato il sostegno della destra e della sinistra, se Avvenire non ha mai davvero corso il rischio di ridimensionamento o chiusura per la minore incidenza del Fondo sul suo bilancio, a rimetterci le penne saranno testate locali e, appunto, il manifesto.

L’unica nostra arma è dunque rompere questo isolamento mobilitando i nostri lettori nella campagna iorompo.it, una battaglia da cui usciremo vivi o morti, come quella che ci portò all’acquisto della testata, ormai tre anni fa, riscattata dalla salatissima liquidazione, con i nostri e i vostri sacrifici.

Così oggi: o riusciremo a mettere nella nostra cassetta di sicurezza 1 milione e 200 mila euro (quel che il governo ci taglierà entro l’anno), o non potremo fare miracoli.

Di questo chi va in edicola o si abbona al giornale deve essere consapevole, fino in fondo.

Invece mi capita di scoprire sorpresa e meraviglia quando, in pubblici incontri o private conversazioni, faccio presente il quanto e il quando del nostro traballante futuro prossimo.

In un certo senso capisco e lo stupore è persino confortante. Come se la fine del giornale, di questo giornale sempre in edicola ogni giorno da 48 anni, non potesse neppure essere messa nel conto.

Nessuno è mai riuscito a tapparci la bocca, perché ora invece sì?

Cercheremo di spiegarlo ogni giorno, migliorando la nostra campagna perché se tra i lettori, gli amici i compagni c’è ancora chi non lo ha capito, questo vuol dire solo una cosa: non abbiamo spiegato abbastanza, non abbiamo rotto il muro della dura realtà.

Naturalmente per comunicare la campagna, per arrivare anche a chi non ci legge ma alla libertà di informazione ci tiene, occorrono investimenti pubblicitari, on line e off line. Noi non abbiamo grandi mezzi e nemmeno forti lobby. Oltretutto a sinistra del Pd non c’è mai stata una spiccata sensibilità per il tema dell’informazione (spesso confusa con la partecipazione ai talk-show).

Da ogni punto di vista una strada in salita, ma hic rhodus, hic salta.