Il suono del Coronavirus è il trillo dei messaggi whatsapp che si incolonnano sullo schermo. E il silenzio fuori dalla finestra. Da ogni finestra.

Dei cinquanta che eravamo in redazione siamo rimasti in meno di 10, uomini e donne, ciascuno “autocontenuto” in una scrivania. Le poche interazioni umane avvengono tutte da un angolo all’altro della stanza, come in un perverso gioco dei quattro cantoni. E se ci si incontra per caso in corridoio ci si sposta per passare uno alla volta. Cavalleria obbligatoria.

La macchinetta del caffè, una volta sempre in azione, oggi è deserta.

Alle 21, invece di sgattaiolare nella stanza del caporedattore per vedere cosa mettere in copertina, il titolo di prima pagina nasce sugli smartphone, con una serie di messaggini che è una filastrocca febbrile di giochi di parole e valutazioni politiche che si rincorrono casa per casa da Palermo a Roma.

Ci sono solo un caporedattore, un grafico e una photoeditor, non più di tre cronisti. Tutti gli altri partecipano dalle stanze lontane in cui sono isolati. Questo è il manifesto che va in edicola oggi.

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La giornata di ciascuno inizia e finisce davanti a uno schermo, con gli auricolari pronti a una giostra di chiamate senza fine con compagni e collaboratori. Di solito, almeno finora, ci risparmiamo le videochiamate.

Riuscire a pubblicare un quotidiano in cooperativa come il manifesto anche in mezzo a una pandemia è un miracolo che non cessa di stupirci.

Il giornale di carta, oggetto novecentesco che sembrava destinato all’oblio, è oggi un bene essenziale, di quelli da tenere in vita per decreto in un’Italia in quarantena da un mese. La matrice che ci unisce tutti è Internet, sempre più vicina al collasso, ma il nostro mondo fisico, reale, è ristretto all’osso. Il giornale quotidiano, come in Harry Potter, esiste anche nel mondo del Coronavirus.

Per via dell’emergenza abbiamo deciso di liberare il nostro sito, ilmanifesto.it, e aprirlo a tutti gratuitamente. Nella crisi più grave degli ultimi ottant’anni è fondamentale essere bene informati e sentirsi parte di una comunità, di una storia collettiva.

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A questo servono i giornali: a informare e a formare. E’ il plasma che alimenta i nostri neuroni, che ci fa sentire meno soli, che ci fa incazzare, che ci consola, che ci illumina con una cosa che non sapevamo, che ci accompagna nel distinguere le priorità, e il vero dal falso.

Non saremmo qui senza le aziende e i partner che ci aiutano: i tipografi e lo stampatore, i distributori, i giornalai, i postini che a fatica portano le copie agli abbonati, i trasportatori che le spostano da Nord a Sud, chi in pochi giorni ha messo in piedi il telelavoro per tutta la redazione, i marchi che scelgono il pubblico del manifesto per raccontarsi, i tecnici e gli sviluppatori che curano le edizioni digitali in Italia e a Londra, l’assistenza per il sistema editoriale… Non facciamo nomi ma senza l’impegno straordinario e appassionato di tutte queste persone il manifesto oggi non ci sarebbe.

Sono saltati orari e priorità ma tutti costoro hanno sempre collaborato per far uscire il giornale, cioè per consentire al pubblico di leggerlo, per portarlo a voi.

Centinaia di persone, come in un film permanente, lavorano sodo ogni giorno tutti i giorni per far leggere poche righe su un foglio di carta. Una fragile arca di informazioni nel diluvio universale della pandemia.

I giornali, ora è certo, esisteranno anche nel futuro. Anche nel mondo dopo il Coronavirus.

A una condizione però: non dimentichiamo che con quel semplice euro e mezzo in edicola vivono il giornalaio, il distributore locale e nazionale, il trasportatore, il tipografo, il giornalista, il poligrafico, l’editore. Acquistare un quotidiano è un gesto apparentemente banale, ma dà vita a decine di migliaia di persone (qui).

E’ una piccola scintilla capace di accendere una grande luce. Noi la teniamo accesa. E voi?