L’iniziativa del Papa segnala il ritorno del sacro nello scenario di crisi planetaria aperto dalla pandemia. Il pellegrinaggio, a piedi per la città deserta, ma non desertificata è denso di elementi simbolici che sembrano coagulare, intorno alla preghiera sull’antico crocefisso della peste, una sensibilità religiosa certo al passo dei tempi, ma anche in grado di dare al gesto un senso di rinnovamento.

La scomparsa delle componenti trascendentali dallo scenario pandemico era un fatto nuovo, mai avvenuto prima nella storia della relazione tra l’umanità ed i suoi mali diffusi. Dalla peste di Atene sino alla pandemia di Aids, passando per le pestilenze medioevali e la Spagnola, il trascendente, il numinoso, era sempre stato presente e protagonista. Il castigo degli dei per l’incesto di Edipo, le streghe ed i loro commerci diabolici come untrici pestifere, l’Aids come flagello divino contro una sessualità “contro natura”, sono tutti esempi che, invece, non si potevano sino ad oggi trovare nella vicenda coronavirus.

Questa pandemia, almeno prima del gesto papale, era invece un problema prevalentemente del sistema sanitario, delle borse, di protezione civile o di coordinamento tra stati nazione. Ora vediamo il Pontefice che esce da solo e percorre una strada deserta verso un luogo di alta valenza simbolica, e lo fa da pellegrino vero, cioè nel pericolo reale di un contagio. Il pellegrinaggio, da sempre, è segno di un percorso interiore prima che nel mondo, di una strada che diventa il supporto per una riflessione che ha, in ogni passo, il suo destino.

La meta finale, la chiesa di San Marcello al Corso dove si è fermato a pregare per la fine della pandemia, non è che un attrattore che consente di dare una direzione al camminante, ma il senso del cammino è tutto interiore. Non significa che si è soli con se stessi, anzi: ciò che ci circonda ci parla, e noi lo ascoltiamo affinché ci ascolti; lo guardiamo affinché esso ci ri-guardi. Il passo papale ha evidenziato sommamente questa componente di amore con l’ambiente, malato non a causa del virus ma delle nostra stessa incuria, del mal-essere che continuamente generiamo nel mondo e in noi.

Il Papa ha così chiamato intorno a sé le forze invisibili dei cittadini romani, e idealmente di tutta l’umanità, chiusa in casa certo, ma pronta ad esprimere una tensione morale evidente e positiva. E così la preghiera, il raccoglimento meditativo sotto il crocefisso, anche per chi è profondamente laico ma non secolarizzato, per chi mantiene un contatto permanente con la sua interiore spiritualità, al di là delle appartenenze religiose, riflette quel clima di introspezione che tutti, in queste giornate di forzata stasi, stiamo vivendo.

Ed è proprio questo che il Pontefice ha voluto valorizzare con un gesto emblematico: la possibilità che questo tempo riapra alla sensibilità del dialogo con noi stessi, ma anche con il Mondo immediatamente sotto le nostre finestre, che oggi, paradossalmente, riusciamo a sentire, nel silenzio che porta le voci degli uccelli e non quella degli aerei che oramai non solcano più il cielo. Il mondo dentro e fuori di noi in una nuova alleanza che, si spera, vada ben al di là dell’emergenza.