Kill (the) bill. In un hashtag che strizza debitamente l’occhio a Tarantino si raccolgono le manifestazioni di questo weekend pasquale in Gran Bretagna. Dove «bill» non è il programma di una sera al cinema, bensì il «Police, Crime, Sentencing and Courts Bill», fetentissima legge che tra le molte misure permette alla polizia di calare con più serenità il suo già robusto, e spesso ultimamente violento, braccio su chi protesta.

Molti i cortei e assembramenti in varie città tra cui Leeds, Manchester, Brighton e naturalmente Londra.

Oggi a Hyde Park parlerà «the real Corbyn», Jeremy, nel suo primo intervento pubblico di rilievo dall’epurazione recentemente subita.

Attualmente in discussione in parlamento, la legge aumenta (in Inghilterra e Galles) il potere poliziesco di criminalizzazione delle proteste, permettendo agli agenti di sgombrare assembramenti anche non violenti che si ritengano «disturbatori» della quiete pubblica arrivando ad affibbiare pene detentive fino a dieci anni.

Con l’occasione dà anche una bella raddrizzata alle improduttive comunità di nomadi e traveller: contiene infatti misure anti-intrusione che impediscono di dormire in un veicolo contro la volontà del proprietario della terra su cui questo si trova, tanto per non fare misteri inutili su chi avevano in mente i legiferatori.

Le duecentonovantasei pagine sono nella fase parlamentare di seconda lettura («second reading») dopo essere passate per 359 contro 263 – i laburisti si sono astenuti -, ma continueranno ad essere avversate con decisione per le strade.

Con le restrizioni anti-coronavirus agli assembramenti appena ritirate (lunedì), queste manifestazioni sono legali ma arrivano in una fase di forte tensione con la polizia. Tre giornate di scontri violenti gli scorsi 21, 23 e 26 marzo si erano conclusi con ventinove arresti e sedici fermi. Un’altra manifestazione il 30 marzo si era volta senza incidenti: e incidenti di rilievo finora non ce ne sono.

Questa è una mobilitazione prevalentemente giovanile ma non solo, che lotta contro provvedimenti restrittivi dei diritti inalienabili dell’individuo come quello di protesta, provvedimenti fatti passare in tutta fretta dalla porta di servizio dall’esecutivo più a destra degli ultimi decenni.

Approfittando del giro di vite biopolitico transnazionale in atto «imposto» dalla pandemia, il governo Johnson – e nello specifico la torva figura di Priti Patel agli Interni – sono in piena sbandata coercitiva. In contraddizione solo parziale con il loro Dna ideologico – repressivo nel sociale e nel penale e uber – liberoscambista nell’economico – questo pare un singulto autoritario della solita ricetta di «law & order» della destra conservatrice e della sinistra neoliberale anglosassoni sulla scia di proteste come quelle di Extinction Rebellion due anni fa e di Black Lives Matter l’anno scorso, in cui la polizia era stata accusata dai tabloid di esser stata troppo morbida e perfino in sintonia (nel caso di XR) con le proteste, perlomeno all’inizio.

Ma sono due i casi che hanno infiammato di più l’opposizione a quest’elargizione sfacciata di potere alla polizia – di cui quest’ultima nemmeno sarebbe troppo soddisfatta, perlomeno non unanimemente: in particolare, il fatto che pare una risposta ai disordini dell’anno scorso a Bristol con l’ammaraggio della statua del mercante di schiavi Colston, episodio tra i tanti assalti «alla statua bianca» di vari assassini filantropi. Anche in quell’occasione la polizia fu bersaglio di rimproveri per aver agito con circospezione nel reprimere l’oltraggio, un comportamento dettato dal buon senso di non voler guastare il tormentato rapporto con la comunità caraibica della città, scatenando la bile dei commentatori di destra.

E poi il recente assassinio e stupro della giovane Sarah Everard nel quartiere di Clapham Common, a sud della capitale, ad opera di un agente di polizia. Alla veglia di protesta, il 13 marzo, la polizia aveva sgomberato violentemente i manifestanti raccoltisi nonostante il divieto sanitario ancora in vigore. Protestavano anche contro una legge per cui i vandali dei monumenti schiavistici rischiano di beccarsi dieci anni, ma che parte ancora da un minimo di cinque per chi stupra.