Anche io partecipo alla protesta delle amiche che si sono indignate per la scelta del Comune di Verona e della rappresentante del Pd in esso: toccare la legge 194 significa abolire tutto quel che si è cercato di fare per difendere le donne dagli aborti clandestini; e si è fatto poco perché la 194 permette comunque quella libertà di coscienza del medico attraverso la quale passa il modo di eluderla. Essa va assolutamente tenuta ferma.

Nel medesimo tempo penso che vada precisato un argomento sul quale non concordo con le mie amiche. Non penso infatti sia corretto dichiarare che l’aborto è un atto medico come levarsi un dente. Io non sono mai rimasta incinta, quindi il problema per me non si è posto, ma ho visto parecchie mie più giovani compagne doverlo affrontare: per nessuna è stato semplicissimo.

Nel caso dell’aborto ci sono due possibili soggetti di fronte, da un lato una donna, in genere giovane ma perfettamente in grado di intendere e volere, che conosce le difficoltà cui la mette di fronte un figlio non desiderato, difficoltà finanziarie per nutrirlo e allevarlo fino a quando non sarà in grado a provvedervi da sé. Perlopiù il compagno che ha partecipato alla fecondazione non se ne interessa.

Dall’altro lato c’è un feto, cioè un soggetto assai imperfetto che rappresenta una potenzialità di vita di una persona, ma non è ancora persona mancando tutto il sistema neurologico che permette di esserlo.

Sono dunque «soggetti» diversi e la scelta della donna deve essere libera e responsabile. È assolutamente non vero che essa con l’aborto ucciderebbe un essere umano, questo essere umano ancora non c’è. So bene che la chiesa lo considera esistente dal momento del concepimento ma finché una persona non è tale, parlare di essere umano è impossibile.

Siamo di fronte a una scelta assolutamente pertinente all’umanità, e come tale va affrontata. Tutte le giovani donne che mi sono passate davanti e l’hanno dovuta prendere possono averne sofferto come di una possibilità che non si è realizzata.

Non sono quindi d’accordo di esprimersi superficialmente, per non dire con dubbio senso dell’umorismo, come ho letto nella battuta: «Fuori il Vaticano dalle mie mutande».

In questi casi, è bene ricordarsi che la chiesa cattolica ha un suo codice che non ha a che vedere con quello dello Stato. Non penso che sia il caso di tornare indietro da questa distinzione che anche l’Italia ha fatto a suo tempo, se mai tardi.