L’autunno caldo catalano non accenna a raffreddarsi. Niente di meglio per catalizzare la rabbia che la visita del monarca spagnolo Filippo VI di Borbone a Barcellona. L’occasione era apparentemente innocente e, valga la ridondanza, persino nobile: la consegna dei premi intitolati a sua figlia, la principessa di Girona (e che fino alla sua salita al trono erano intitolati a lui stesso). Sono premi prestigiosi dati a giovani che hanno apportato le proprie conoscenze a una società più giusta e solidale. Ieri, tanto per dire, sono state premiate persone degnissime, come il matematico Xavier Ros Oton (che portava un «laccetto giallo», simbolo di solidarietà con i prigionieri politici dell’indipendentismo catalano, bello grosso sulla giacca; data la sua notevole statura, è finito proprio in faccia al re durante la stretta di mano), lo scenografo e regista Rafael Rodríguez Villalobos, la lavoratrice sociale Begoña Araña Álvarez, il medico e impresario Ignacio Hernández Medrano, e l’attivista sociale israeliana Maria Jammal.

IN ALTRI TEMPI il re avrebbe fatto il suo discorso pieno di belle parole e l’erede al trono avrebbe avuto il suo momento di gloria, perché ieri era la prima volta che la 14enne Eleonora consegnava lei stessa i premi, dopo un breve discorso, con applausi dei benpensanti perché anche lei, come il padre, ha studiato il catalano. Ma a sei giorni dal voto, a poche settimane dalla controversa sentenza che ha chiuso in carcere con pene durissime nove leader indipendentisti e soprattutto a due anni dall’incendiario discorso che fece il re subito dopo la selvaggia repressione a manganellate del referendum del primo ottobre, questa visita era destinata a gettare benzina sul fuoco. E infatti la città era presidiata da domenica pomeriggio dalla polizia e varie migliaia di persone si sono riunite sia vicino all’hotel dove alloggiavano i reali che davanti al Palazzo dei Congressi (a circa un chilometro di distanza lungo la stessa Diagonal) al suono di fischietti, pentole, e al grido di «libertà per i prigionieri politici», «fuori le forze di occupazione», «né re, né paura», «la Catalogna non ha re», «fuori il Borbone», «indipendenza» e bruciando immagini e cartelli con l’effigie del sovrano («morte al Borbone» dicevano molti).

I PARTITI INDIPENDENTISTI avevano chiesto alla Giunta elettorale di bloccare la visita del re in vista delle elezioni, senza effetto. Tanto più che la cerimonia, che da dieci anni si celebra a Girona, di cui, appunto, il monarca detiene il titolo, quest’anno era stata trasferita nella capitale catalana perché il comune di Girona aveva accampato delle scuse pur di non ospitare i Borbone per protesta per il suo atteggiamento sulla Catalogna. Inoltre la cerimonia di solito si svolge in giugno, non a novembre, ma quest’anno si era deciso di farla coincidere con il decimo anniversario della Fondazione che distribuisce i premi.

ALLA LUCE DEI FATTI, una pessima idea che se la Casa Reale avesse avuto un minimo di sensibilità avrebbe corretto considerandole circostanze. Invece nulla: sono arrivati come se nulla fosse e il programma è stato confermato. Peccato però che i sovrani e tutta la comitiva di invitati per il gala abbiano dovuto fare lo slalom in una città mezzo bloccata da manifestanti e polizia. Il governo catalano non ha mandato nessun rappresentante alla cerimonia, e il comune di Barcellona ha strategicamente inviato il numero due della sindaca Ada Colau, il socialista Jaume Collboni. Fra le autorità c’erano invece, fra gli altri, la vicepresidente spagnola Carmen Calvo e il presidente del senato, il socialista catalano Manuel Cruz.

Mentre all’interno gli invitati applaudivano educatamente i Borbone, per strada il grido «Els carrers seran sempre nostres» (Le strade saranno sempre nostre) veniva aggiornato: «Els mossos seran sempre monstres» (I Mossos saranno sempre mostri).