Dopo il colpo della by-election di Hartlepool, giovedì scorso, sul volto del Labour targato Starmer non ci sono solo ecchimosi. Nonostante l’abbacinante opacità del suo leader, il partito è riuscito a portare a casa anche dei risultati positivi. Il Galles, naturalmente, dove ha tenuto bene assai grazie al primo ministro in carica Drakeford alle politiche; e – a parte il secondo mandato di Sadiq Khan al municipio di Londra – nelle amministrative ha rieletto sindaci in città fondamentali come Liverpool, Bristol e Manchester e mantenuto 44 council, perdendone otto.

NELLA RAFFICA DI SUFFRAGI della settimana scorsa, la vittoria di Khan era una delle poche cose prevedibili, anche se non nella misura sperata. Nel 45% del sindaco rientrante contro il 35% del rivale tory Shaun Bailey si legge la risalita all’ultimo momento dello sfidante, ancor più significativa visto che i conservatori avevano lasciato il candidato di origine caraibica privo delle cannonate propagandistiche con cui di solito arrembano l’elettorato. Rispetto alle elezioni del 2016, Khan è sceso del 4,2%, mentre Bailey ha di poco migliorato la performance del suo predecessore, il creso Zac Goldsmith. Terza classificata, ma con il solito deprimente distacco, Siân Berry dei Verdi, al 7,8%, risultato mitigato dal raddoppio dei council conquistati (88).

Unico dato davvero confortante, la disfatta di Laurence Fox, attore-latore di un’olezzante agenda destrorsa e neoimperialistica.

MA IL DOVERSI RIDURRE a considerare le vittorie di Liverpool e Manchester – due città emblematiche per la cultura operaia europea e mondiale – come importanti quando dovrebbero essere poco più che scontate, dà la misura effettiva dell’abisso su cui pencola il partito. Non è solo il fatto che alle by-elections – come del resto alle amministrative – il partito di maggioranza di solito perda e che i collegi del Nord, nostalgicamente denominati red wall siano ridotti a uno stinto muretto su cui ciondolano le gambe di adolescenti annoiati. A parte l’oggettivo progresso dell’elezione di Joanne Anderson – nera, donna e perfino corbynista – a sindaca di Liverpool, la vittoria del soft leftist Andy Burnham a Manchester – già aspirante leader del partito ma surclassato sonoramente da Jeremy Corbyn nel 2016 – la si deve soprattutto alle noiose litanie anti-Londra su cui lo stesso Burnham instancabilmente martella, in linea con la decentralizzazione provinciale che interessa tanta politica europea: una variante sovranista-identitaria che sembra sempre più un rimando alle signorie rinascimentali italiane che con lo stato-nazione otto/novecentesco.

Burnham ha immediatamente speso il proprio neo-capitale politico a difesa di Angela Rayner, ex-presidente del Labour e responsabile della campagna elettorale che Starmer aveva fatto fuori nel weekend – assieme alla ministra-ombra delle finanze Anneliese Dodds, sostituita con Rachel Reeves – tanto per far vedere che si assumeva le responsabilità della sconfitta, liberandosi di una rivale alla leadership e spostandone l’asse più a centrodestra. Tanto che dopo l’affondo di Burnham e le vigorose proteste di Rayner medesima, la decapitazione si è goffamente trasmutata in promozione: Rayner occuperà ora ben tre umbratili ruoli, shadow cabinet minister, ministra ombra del “Ducato di Lancaster” (detenuto da Michael Gove) e ministra per il futuro del lavoro (dicastero, quest’ultimo, che è tutto un programma). Starmer avvalora così la tesi per niente semiseria che dietro ogni donna “di successo” c’è un uomo che cerca di fermarla. Tra le altre cariche rimpastate, da notare il nefasto avanzamento di Wes Streeting, stridulo ultrà centro-centrico instancabilmente dedito ad agevolare la riconquista del partito da parte dell’ala blairiana.

QUANTO A BORIS JOHNSON, dopo i baccanali plebiscitari del weekend (gli accoliti di Hartlepool lo hanno festeggiato con un malaccorto quanto veridico pallone gonfiato) la scioccante notizia che il nostro è “sotto inchiesta” per la vacanza da quindicimila sterline che con la compagna spin doctor si è concesso ai Caraibi il Natale del 2019, dopo il tronfio trionfo elettorale. In attesa di scoprire chi ha pagato, varrà la pena di ricordare che, come già per i Berlusconi e i Trump, simili attacchi didattico-moraleggianti non fanno altro che cementare i consensi.