Nel nuovo elenco dei Paesi sicuri per i migranti il governo Meloni inserisce anche l’Egitto, per facilitare il rimpatrio di persone migranti. Neanche Luigi Di Maio, all’epoca in cui guidava il ministero degli esteri e accusava le ong di essere «taxi del mare», arrivò a tanto. E dire che erano ancora in corso le faticose indagini della Procura di Roma sull’uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore di Fiumicello sequestrato, torturato e ucciso tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016 al Cairo.

Oggi, non solo quelle indagini si sono concluse, ma il processo si è aperto e vede alla sbarra quattro 007 egiziani, con accuse che richiamano i racconti diffusi in questi anni dalle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani, egiziane e non: in Egitto è «normale» subire da parte delle forze di sicurezza sparizioni forzate, torture durante gli interrogatori o in carcere, processi iniqui o violenze tali da correre il rischio di morire.

Lo sa bene Patrick Zaki, attivista e studente dell’università di Bologna che, grazie all’attenzione mediatica ottenuta dai suoi legami con l’Italia, è incorso «solo» nell’elettrochoc, in varie forme di violenza psicologica e tre anni di carcere senza accuse formali né processo.

SITUAZIONE peggiore per il noto attivista per i diritti umani e civili Alaa Abd El Fattah. In carcere dal 2021, è stato lasciato per mesi in cella di isolamento senza la possibilità di leggere – neanche l’orologio – praticare sport o ascoltare musica. Dietro le sbarre c’è anche chi ci rimette la vita, come Shady Habash, regista 24enne «colpevole» di un video in cui prendeva in giro il presidente Abdelfattah Al-Sisi.

Si stima che nelle carceri egiziane siano detenuti tra le 60 e le 100mila persone per reati politici e di coscienza. Tra loro, oltre ai difensori dei diritti umani, anche giornalisti, intellettuali e politici, che commettono l’errore di chiedere riforme sociali ed economiche in un paese in cui l’inflazione è intorno al 35% e tanti giovani fanno lavori sottopagati.

Da ottobre, poi, con l’avvio dell’operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza, sono finiti agli arresti anche egiziani che hanno protestato in segno di solidarietà con i palestinesi, come conferma Amnesty International.

In Egitto, però, non rischia solo chi fa attivismo: tanti e tante influencer hanno subito condanne per aver violato «i valori morali tradizionali». Vanno incontro ad arresti e persecuzioni anche membri della comunità Lgbtqia+ oppure i residenti della penisola del Sinai: dopo gli attacchi della branca locale dello Stato islamico, le autorità hanno arrestato arbitrariamente decine di persone poiché sospettate di legami col gruppo.

Human Rights Watch e Sinai Foundation for Human Rights hanno documentato l’arresto di una ventina di donne tra il 2017 e il 2022. Le Nazioni unite hanno denunciato invece l’arruolamento di minori per rafforzare i ranghi egiziani nell’area.

DA APRILE 2023, infine, si moltiplicano le accuse di arresti arbitrari, abusi e respingimenti di rifugiati in fuga dalla guerra civile sudanese. Chi decide di partire alla volta dell’Europa via mare – tra cui anche tanti egiziani, a causa della forte crisi economica, con un’inflazione alle stelle e un sistema produttivo in cui le aziende dell’esercito sono oligopoliste – rischia di non essere tratto in salvo, se il barchino su cui viaggia entra in difficoltà: l’ultimo episodio secondo EuroMed Rights risale a marzo. L’organizzazione riferisce di un’imbarcazione alla deriva con 160 persone tratte in salvo da un mercantile privato.