Da mesi esprimo sconcerto di fronte al florilegio di liste con o senza falce e martello che hanno deciso di non convergere su un’unica candidatura a sindaca/o. Temo che neanche i magri risultati indurranno a una riflessione alcune di queste formazioni.

Per noi di Rifondazione Comunista questa frantumazione costituisce un enorme problema.

Ne esce delegittimata e ridicolizzata una sinistra radicale che invece ha molte cose da dire. Offre una giustificazione per cancellarci su media e giornali. Disincentiva l’impegno diretto e persino il voto. Però la ricetta che propone Norma Rangeri non mi convince.

Non mi sembra che la questione principale sia la difesa del «piccolo mondo antico immobile nella conservazione della propria identità».

Queste formazioni sono nate negli ultimi anni e semmai a sinistra da tempo poco si valorizza una storia e categorie analitiche che avevano forti radici popolari. Altrove in Europa e in America Latina pluralità non fa a pugni con unità. Basti pensare a Unidas Podemos in Spagna con due ministri e la portavoce con tessera del Pce.

È vero che da un lato c’è il settarismo di alcuni, ma dall’altro c’è una parte della sinistra, che Rangeri incoraggia, che persegue l’alleanza organica con il Pd a prescindere.

Perché nelle grandi città non si è costruita una coalizione di sinistra e ambientalista che avesse la forza di costituire un punto di riferimento visibile e in grado di costringere a discutere di questioni come lavoro, immobiliarismo, privatizzazioni e esternalizzazioni dei servizi, ecologia?

Solo colpa dei settari? Cinque anni fa uniti avevamo eletto ovunque in autonomia. A Torino non era possibile convergere su Angelo d’Orsi (un 2,5% da valorizzare) invece di stare con un esponente del «sistema Torino» e dei sitav? A Milano, dove la lista di Sinistra italiana ha preso meno dell’1,6% del nostro candidato sindaco e non elegge, non era doveroso presentare con «Milano in Comune» un’alternativa rossoverde all’immobiliarismo della giunta Sala? Nel caso di Roma è disperante l’isolamento che ha incontrato la davvero coraggiosa disponibilità di Paolo Berdini. Come può cantare vittoria una sinistra che si dice all’opposizione quando la sintesi dei risultati che immediatamente traccia il segretario del Pd è proprio il rafforzamento del governo Draghi?

Rangeri non valorizza l’esperienza calabrese forse perché lì un risultato storico come il 16,2% è stato ottenuto in alternativa al centrosinistra. In Calabria tutta la pur debole sinistra era unita intorno a una candidatura come quella di Luigi De Magistris e alla presenza nelle liste di Mimmo Lucano. Due nomi che non potevano essere oscurati. Tanti settori della cultura, del volontariato, dell’associazionismo, dei movimenti hanno partecipato con entusiasmo. Qualcosa di simile non era possibile farlo nelle grandi città e perché lo si è scartato a priori? Di fronte alla debolezza della sinistra radicale la soluzione «non minoritaria» che Rangeri propone è quella di una sinistra «coraggiosa», cioè che abbia il coraggio di allearsi col Pd, in realtà rassegnata al bipolarismo.

Ci sarebbe da fare un bilancio sull’efficacia di questa linea che non è certo nuova. Si sono visti significativi cambiamenti nell’impianto programmatico del Pd che è saltato da Monti a Draghi, sempre fedele alle «tavole» di Maastricht e sull’attenti rispetto a Usa e Nato fino a salire sul palco filoisraeliano durante il bombardamento di Gaza? Vogliamo calcolare l’impronta sociale e ecologica di quello che Nancy Fraser definisce «neoliberismo progressista» in termini di crescita delle disuguaglianze, scuola, sanità, casa, diritti del lavoro, bassi salari, pensioni, privatizzazioni, disoccupazione, devastazione ambientale, spese militari, violazioni dei diritti dei migranti, ecc.?

Non c’è il problema di una forza autonoma che provi a cambiare la narrazione e l’agenda come fecero i primi socialisti liberandosi dalla subalternità ai liberali? C’è necessità o no di un’opposizione popolare, antiliberista e anticapitalista, ambientalista, femminista, pacifista che proponga un’alternativa? Non è il caso che discutiamo sul come costruirla a partire dalle lotte in corso?

Le dimensioni dell’astensionismo e la nostra comune debolezza dovrebbero indurci a non cedere alla rassegnazione.

Leggi anche l’editoriale di Norma Rangeri