Per l’Oms, la Cina rappresenta l’esempio da seguire: l’epidemia, per quanto diffusa, si può ancora frenare. Nella regione-epicentro dell’Hubei ora si registrano meno contagi rispetto ad altre nazioni. Martedì i nuovi casi registrati in Cina sono stati in tutto 125, contro i 477 della Corea, i 356 dell’Italia e i 523 dell’Iran.
Secondo molti osservatori, la Cina ha raggiunto il «picco» epidemico all’inizio di febbraio e le drastiche misure di contenimento hanno funzionato egregiamente.

In molte province si parla di allentare le misure restrittive e qualcuno lo chiede anche per l’Italia. Sui mercati dell’export si segnala una ripresa degli ordinativi dalla Cina e gli indici di borsa mostrano una fiducia nei confronti di una rapida ripresa dell’economia cinese. Non si può parlare di allarme cessato, spiega Alessandro Vespignani, direttore del Network Science Institute all’università Northeastern di Boston e uno dei massimi esperti mondiali nello studio e nella previsione delle epidemie.

Intanto perché il numero di casi registrati è fisiologicamente inferiore al numero totale dei contagi. «Come ci stiamo accorgendo anche in Italia, solo all’inizio dell’epidemia è possibile sottoporre a test tutti i possibili contatti», spiega Vespignani. «A un certo punto si arriva alla massima capacità diagnostica del sistema sanitario e bisogna smettere di testare anche gli individui asintomatici. Perciò i casi iniziano a sfuggire ed è fisiologico, dalla Cina all’Italia, che il numero dei casi registrati vada moltiplicato per cinque o per dieci per avere una stima realistica dei contagi». Il calo dei nuovi contagiati però è reale.

«In Cina sono riusciti a ‘strangolare’ l’epidemia, cioè a frenare radicalmente il contagio con le misure draconiane di distanziamento sociale. Ma parlare di ‘picco’ sarebbe fuorviante e pericoloso. Un’epidemia raggiunge il picco quando infetta una parte consistente della popolazione e non trova più individui suscettibili da contagiare».

Invece, le 80mila persone contagiate in Cina, per quanto numerose, sono una minima parte della popolazione, che conta un miliardo e quattrocentomila abitanti. «In Cina è pieno di individui suscettibili», continua Vespignani. «Ora bisogna capire cosa succederà quando le misure di isolamento verranno prevedibilmente allentate». L’epidemia potrebbe ripartire? «Nei prossimi mesi bisogna aspettarsi un andamento a fisarmonica, perché le misure soffocano l’epidemia ma appena si lascia la presa l’infezione riparte. Ora che l’epidemia è globale, inoltre, le fonti di contagio si moltiplicano anche all’esterno della Cina».

In effetti, le autorità cinesi ora sono preoccupate per i primi casi di Covid-19 importati da Italia, Iran e Regno Unito. E per un dato preoccupante sui pazienti dimessi: nel Guangdong, 13 pazienti dichiarati guariti sono risultati nuovamente positivi due settimane dopo le dimissioni dagli ospedali. Altri casi simili sono stati segnalati anche nelle regioni del Sichuan e di Hainan. Dai primi esami, i pazienti nuovamente positivi non presentano sintomi e non hanno contagiato altre persone.

La possibilità che il virus si ripresenti dimostra che sulla malattia c’è ancora molto da capire. Uno dei principali interrogativi riguarda proprio la durata dell’immunità dalla malattia negli individui infetti. Per altri coronavirus, come quello che provoca il comune raffreddore, l’immunità dura solo un anno o due. Ma né per il virus Sars-cCv-2 né per il suo predecessore Sars la durata dell’immunità è stata ancora accertata.