Tutti (o quasi) pazzi per Draghi e Bonomi. L’assemblea di Confindustria, teatro dell’abbraccio più che simbolico tra premier e imprenditori, mostra in filigrana il blocco politico e sociale che vorrebbe consegnare l’Italia all’ex numero uno della Bce a tempo indeterminato: in prima fila Renzi, Forza Italia e la Lega giorgettiana (il ministro dello Sviluppo rinuncia addirittura a intervenire per ribadire la sua totale condivisione).

Col «patto per il lavoro», formula per ora un po’ vaga, Draghi richiama a sé anche il Pd, che gongola per le sue parole. «Bene!», twitta Enrico Letta appena uscito dall’assemblea. «Draghi lancia a sindacati e imprese la proposta di un grande Patto per il lavoro e la crescita. Noi siamo d’accordo. È il momento giusto, sul modello di quello che fece Ciampi nel 1993. Lo avevo proposto ad aprile, la considero una vittoria del Pd».

Nel Pd è un coro di urrà, che coinvolge anche il ministro del lavoro Andrea Orlando, leader della sinistra interna: «Sostengo da tempo questa esigenza: su temi come welfare, politiche attive, politiche industriali è necessario un accordo strategico che metta insieme tutte le forze e consenta al Paese di guardare oltre la contingenza». Così anche Roberto Gualtieri: «Da Draghi messaggi forti e di grande credibilità e lungimiranza sugli sforzi e le strategie dell’esecutivo per evitare i rischi congiunturali e accelerare su riforme e investimenti».

Anna Maria Bernini di Forza Italia usa concetti simili: «Mai negli ultimi anni si era registrata tra Confindustria e governo la piena consonanza d’intenti emersa nella relazione del presidente Bonomi». E la ministra Elena Bonetti di Italia Viva: «Ho respirato un clima di fiducia e corresponsabilità. La politica che oggi è al governo con il presidente Draghi si è davvero messa a disposizione per creare alleanze e dare risposte ai bisogni dei cittadini».

Tra i commenti si fatica a distinguere tra un partito e l’altro, vista l’unanimità: «Bene il presidente del consiglio che dimostra visione, senso di responsabilità e capacità di valutare quali siano le reali necessità del paese e dei cittadini», dice il governatore leghista del Friuli Massimiliano Fedriga. E la capogruppo del Pd in Senato Simona Malpezzi concorda: «Serve una prospettiva economica e sociale condivisa per ricostruire il Paese. Bisogna mettersi seduti tutti insieme».

Il senatore dem Franco Mirabelli non trattiene l’entusiasmo: «Condividiamo questo appello perché è l’obiettivo che ci ha portato a costruire il Pd: noi non solo ci siamo, ma c’è un pezzo della nostra storia che va esattamente in questa direzione».

Un coro così unanime che spinge Matteo Renzi, deus ex machina di questo governo, a cantare ancora una volta vittoria: «Con Draghi al posto di Conte l’Italia che lavora e produce ha ripreso fiducia. La crisi di governo ha rimesso in piedi l’Italia. Grazie presidente. E il meglio deve ancora venire».

I più in imbarazzo sono Salvini, Meloni e Conte. «Il premier dice no a nuove tasse, dall’aumento dell’Imu alla patrimoniale, dà ragione alla Lega e boccia seccamente la voglia di tasse di Pd e 5Stelle. Molto bene», dice il leghista, ignorando bordate arrivate da Bonomi su quota 100 e vaccini. E il capo M5S: «Pienamente d’accordo sul no all’aumento delle tasse». La leader di Fdi si barcamena: «Giusto il patto col mondo produttivo, ma da Draghi troppo trionfalismo».