Mi chiamo Emilio Molinari e sono tra i fondatori del movimento dell’acqua in Italia. Mi rivolgo a lei perché tra poco il Parlamento con il Recovery Fund deciderà dove collocare ingenti investimenti pubblici e perché lei a proposito degli Stati Generali del suo movimento, ha affermato: «Bisogna ripartire dai programmi e affermare i nostri principi». Domandandosi: «Perchè non si fanno le leggi sull’acqua pubblica ….?»

Lo chiedo a lei. Perché? E perché non si parla del disastroso stato delle reti idriche italiane. Governo, Parlamento, partiti, sono attraversati da contrasti feroci su questioni inconsistenti, ma sulla dispersione di tanta l’acqua potabile, nessuno parla e picchia i pugni sul tavolo. Le nostre reti idriche sono uno scandalo europeo, oggetto di ben due infrazioni. Perdono il 42% del liquido vitale e basterebbe ci si allineasse agli standard europei, per avere un aumento del 30% della disponibilità.

Siamo ad un secondo look down e il 10% dei cittadini italiani ha problemi di accesso all’acqua potabile (v. articolo del 12 scorso su il manifesto di Alex Zanotelli). Con l’ingresso dei privati nelle aziende idriche gli investimenti sono praticamente crollati: 32 euro per abitante all’anno, contro la media europea di 100 euro ( 130 euro nei paesi nordici).

Nell’estate del 2017 dieci Regioni hanno dichiarato lo stato di calamità idrico. Umbria, Lazio, Basilicata sono state attraversate da crisi idriche, in Calabria e Sicilia, ben il 36% delle famiglie denuncia sistematiche irregolarità nell’approvvigionamento. L’acqua potabile è il primo e più antico presidio sanitario dell’umanità. La principale profilassi contro il diffondersi delle pandemie. Gli scienziati ci raccomandano: lavatevi le mani ripetutamente! Per la metà della popolazione del mondo, questo appello suona come una presa in giro, ma lo è anche nel nostro paese, per chi non può pagare tariffe e acqua minerale, sempre più care o per chi vive in città dove l’acqua spesso non arriva ai rubinetti o vive in baraccopoli di lavoratori immigrati.

È una «grande cecità» politica che denuncio. E mi rivolgo a lei nelle sue molteplici vesti:
– di dirigente di un movimento che ha messo nelle sue stelle fondanti, l’acqua pubblica.
– di Presidente della Camera dei Deputati, che ha il dovere di richiamare tutti i partiti al rispetto delle volontà popolare;
– di esponente di un partito che governa il paese e che, se vuole, ha tutte le condizioni per imporre certe scelte;
– di leader di un movimento che ha fatto della democrazia diretta e dei referendum la bandiera di una nuova sovranità popolare.
Ora che le istituzioni sono chiamate a decidere a quali interventi pubblici dare priorità: Sanità, Scuola, Trasporti, Recuperi ambientali., sono priorità che stanno in cima ai miei pensieri, mi chiedo solamente: perché non si parla mai di investimenti per le reti idriche da riparare e …«Se non ora quando» ne parliamo?

La rete idrica in mano a Suez/Veolia, Caltagirone, Pisante è come la sanità privatizzata e la rete stradale in mano ai Benetton, tutti hanno incassato profitti e tutti hanno lasciato cadere a pezzi le reti. Finanziare con danaro pubblico la riparazione delle reti è un dovere della politica e impone di riprendersi le quote dei privati e restituire al pubblico, ai Comuni, alle aree metropolitane la gestione.

La crisi idrica è come una pandemia planetaria e ci stiamo seduti sopra. Genera già un milione di morti all’anno, 700 milioni di profughi entro il 2030 e profitti enormi a poche multinazionali. La politica ha volutamente ignorato che il referendum del 2011 è stato l’evento tra i più politici e inclusivi del nostro tempo. Per un momento abbiamo assistito ad un sussulto di umanità di un popolo trasversale. Una esperienza come direbbe il papa: «Nata dal basso, dal sottosuolo del Pianeta»…che si è imposta sui partiti. Un moto popolare di fraternità universale….umiliato dall’indifferenza.

Nel 2021 saranno passati 10 anni da quell’evento e mi chiedo: possiamo sperare in qualche segnale forte da parte della politica o almeno da parte di qualche suo esponente di rilievo o tutta la speranza e il coraggio umano, lo dobbiamo delegare ad un vecchio papa e alle sue Encicliche che in pochi hanno letto?

*Questa lettera è stata inviata più di 10 giorni fa al presidente Fico, che non ha risposto. Senza la sua risposta gli annunciavo che sarebbe stata resa pubblica.