L’effetto diretto più impressionante del cambiamento climatico, tra quelli descritti nel rapporto 2023 sullo Stato del clima in Europa, è l’aumento del 30% in 20 anni della mortalità legata al caldo. L’analisi, curata dall’osservatorio Copernicus della Commissione europea e dall’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, stima che i decessi legati al caldo siano aumentati nel 94% delle regioni europee monitorate.

NON È L’UNICO ELEMENTO critico segnalato: dagli anni Ottanta, infatti, l’Europa si è riscaldata due volte più veloce della media globale e oggi vanta il primato del continente che subisce gli effetti più negativi del riscaldamento globale: ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui la percentuale di territorio Europa nell’Artico, che è la regione che sta vedendo il più significativo aumento delle temperature medie, e ai cambiamenti nella circolazione atmosferica, che favoriscono l’aumento della frequenza delle ondate di calore estive. «L’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente – viene osservato – con un aumento delle temperature pari a circa il doppio della media globale. I tre anni più caldi registrati in Europa si sono tutti verificati a partire dal 2020». La temperatura media è stata già di circa 2.50°C oltre i livelli pre-industriali e in undici mesi dell’anno si è registrato un dato fuori-scala, ben superiore alla media.

L’ORIZZONTE, insomma, è tutto fuorché sereno: «Nel 2023 – rileva il direttore del servizio per il cambiamento climatico Copernicus, Carlo Buontempo – l’Europa è stata testimone del più grande incendio mai registrato (in Grecia, quasi 100mila ettari andati in fumo, ndr), di uno degli anni più piovosi, di gravi ondate di calore marino e di devastanti inondazioni diffuse». I record (tutti negativi, se guardiamo alla necessità di contenere i danni per l’essere umano e per la biodiversità) del 2023, lo testimoniano: mai una superficie così estesa era stata attraversata da incendi, oltre mezzo milione di ettari, e l’anno scorso è quello che ha visto il maggior numero di giorni con «stress da calore estremo» (che equivale a una temperatura percepita di oltre 46°C).

IL 13% DEL CONTINENTE ha inoltre registrato forte stress da caldo e il 41% dell’Europa meridionale è risultata colpita da stress da caldo forte, molto forte o estremo nella giornata del 23 luglio, la più calda in assoluto.

IL RISCALDAMENTO eccessivo non ha risparmiato il Mar Mediterraneo, dove nei mesi di luglio e agosto si sono verificate ondate di calore con temperature di 5,5°C sopra la media in alcune aree, fino a condizioni «estreme». Le ondate di calore marine possono avere un impatto significativo «e – si legge – talvolta devastante» sugli ecosistemi oceanici e sulla biodiversità. Nel 2023 anche le precipitazioni sono state superiori del 7% rispetto alla media, esacerbando il rischio di alluvioni in molte zone del continente: 1,6 milioni di persone ne hanno subito gli effetti negativi, con danni stimati superiori ai 10 miliardi di euro per le inondazioni (su un totale di oltre 13 miliardi di euro).

IL RAPPORTO DIFFUSO ieri costituisce un complemento continentale all’analisi sullo Stato del clima globale che viene pubblicato annualmente da tre decenni dalla World Meteorological Organization e che quest’anno è stato accompagnato da un «allarme rosso»: ci avverte, nuovamente, che il mondo non sta facendo abbastanza per combattere le conseguenze del riscaldamento globale. Forse dobbiamo ancora comprendere, come ha provato a ricordare ieri Celeste Saulo, segretaria generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che «la crisi climatica è la sfida più grande della nostra generazione. Il costo dell’azione per il clima può sembrare elevato, ma il costo dell’inazione è molto più elevato. Come mostra questo rapporto, dobbiamo sfruttare la scienza per fornire soluzioni per il bene della società». E la neve di questo fine aprile in Appennino non è un segnale positivo: «Nel 2023, il numero di giorni di neve in Europa è stato inferiore alla media, in particolare nell’Europa centrale e nelle Alpi durante l’inverno e la primavera. Questo, insieme alle alte temperature estive ha contribuito a una perdita netta di ghiaccio». Quelli alpini hanno perso circa il 10% del loro volume residuo negli anni 2022 e 2023. Non c’è tempo da perdere.