«No tagli, no bavagli». È lo slogan della campagna organizzata dalla Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi) contro i tagli al fondo del pluralismo nell’editoria e le querele temerarie fatte per intimidire i cronisti.

La mobilitazione è stata decisa dal 28esimo congresso della Fnsi, tenutosi a Levico Terme dal 12 al 14 febbraio, e prevede iniziative in tutto il paese.

LA CAMPAGNA sarà annunciata oggi dal palazzo Cesaroni di Perugia dal segretario Raffaele Lorusso e dal presidente Fnsi Beppe Giulietti. Arriva due mesi dopo la prima mobilitazione organizzata dal sindacato a dicembre dell’anno scorso che ha visto una manifestazione a Montecitorio alla quale hanno partecipato i giornalisti e i poligrafici di decine di testate no profit e cooperative, come il manifesto.

Centinaia di lavoratori, impiegati direttamente, migliaia negli indotti, saranno colpiti dall’attacco alla libertà di stampa sferrato dal governo Lega-Cinque Stelle nella legge di bilancio. Diversamente da com’è stato presentato, il provvedimento non cancella il fondo per l’editoria, ma lo riduce progressivamente.

Nel 2019 del 20% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro; nel 2020 del 50%; nel 2021 del 75%. A partire dal 2022 il fondo sarà azzerato per i beneficiari attuali. La scure del governo si abbatterà dal prossimo 20 maggio anche su Radio Radicale. È stata dimezzata la convenzione con il ministero dello sviluppo da 10 a 5 milioni di euro.

QUANDO HA LANCIATO gli ancora misteriosi «stati generali dell’informazione», si terranno a partire da marzo, il sottosegretario all’editoria Vito Crimi ha ipotizzato la destinazione del fondo a una galassia di «start up, progetti editoriali, specie quelli innovativi o dei giovani».

Crimi ha confermato l’intenzione di «non contribuire più all’editore, ma al cittadino che vuole accedere a un abbonamento o a più d’uno». Ha avanzato l’idea di un «credito di imposta per l’incremento pubblicitario» per il quale è stato finanziato un fondo da 50 milioni di euro nel prossimo biennio. L’intenzione è adottare «criteri che sostengono il pluralismo non più finanziando sulla base di assetti societari o numero di copie, ma sulla base di criteri che premiano chi si piazza meglio sul mercato».

A queste dichiarazioni di intenti ha fatto seguito l’impegno a sostegno del lavoro precario e dell’equo compenso dei giornalisti freelance.

QUESTE ULTIME PAROLE sono state definite dal segretario della Fnsi Lorusso «condivisibili. Peccato che i fatti dicano il contrario. Dal taglio del fondo per l’editoria alla bocciatura delle misure per contrastare la precarietà, sono andati in direzione opposta. Il superamento delle difficoltà del settore non può prescindere, com’è avvenuto in altri settori, da un intervento pubblico per sostenere la trasformazione dei modelli organizzativi e il rilancio dell’occupazione». Lorusso auspica un «confronto serio, senza regolamenti di conti e pregiudiziali di carattere ideologico».

LA VICENDA HA PRODOTTO reazioni in un arco di forze politiche trasversali. Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia, ha definito il taglio all’editoria «un’aggressione al pluralismo», spegnerà «molte voci libere e creare nuovi disoccupati in un settore già in crisi. Con la scusa di finanziare start up, i Cinque Stelle avvantaggeranno quei siti o blog collegati alla galassia informativa grillina».

«Dovevano zittire i burocrati della Ue – ha detto Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana/LeU) – Alla fine il governo Lega-M5S si accontenta di massacrare quei giornali e quei giornalisti delle cooperative editoriali della provincia italiana, e cerca di chiudere giornali come Avvenire, il manifesto e Radio Radicale».

LA SITUAZIONE
è piena di paradossi: il taglio al fondo è stato fatto in nome del pluralismo e danneggerà il pluralismo. In nome del mercato, principio evocato dallo stesso premier Conte nella conferenza stampa di fine anno, si intende abbattere l’ultimo argine contro la concentrazione oligopolistica sul mercato dei media.

E’ INTERESSANTE
il tentativo di Crimi di contrapporre il lettore, inteso come consumatore che compone il suo giornale digitale attraverso le piattaforme e i siti, ai giornalisti, in particolare quelli che lavorano per la carta stampata.

«Il diritto di informarsi viene prima che il diritto di informare» ha detto Crimi, evocando uno dei miti della propaganda digitale per cui la libertà del lettore consiste nel comporre un giornale personalizzato che colleziona un’informazione come prodotto al supermercato. Si spacca così la contemporaneità dei diritti del lettore e del giornalista, stabilita anche a livello costituzionale, nella definizione di pluralismo.

Il diritto all’informazione è molto più ampio della libertà del consumatore di scegliere una merce-informazione: è diritto alla riservatezza sui dati, alla tutela dei minori, alla rettifica, all’informazione imparziale (da parte del servizio pubblico della Rai) ed è anche un diritto al pluralismo nell’assetto proprietario dei media e alla par condicio.

IL «DIRITTO DI INFORMARE», detto meglio: il diritto di cronaca, è molto più ampio di quella libertà del giornalista di esprimere le proprie opinioni, quella che per il governo italiano è sinonimo di arbitrio. E’ l’espressione della libertà di pensiero garantito a ogni cittadino. La libertà di stampa, che non deve diventare la libertà di diffamazione, consiste nel diritto a pubblicare fatti e opinioni di interesse pubblico. In questo ambito si afferma anche la «libertà di critica», che è tanto dei giornalisti, quanto dei cittadini.

DALLE CLASSIFICHE di Reporters Sans Frontières risulta che i paesi come Finlandia, Olanda, Norvegia, Danimarca, Svizzera o Svezia che tutelano l’informazione con fondi pubblici, garantiscono meglio la libertà di informazione.

Lo studioso americano Robert McChesney ha dimostrato nel libro Digital Disconnect (New Pr) che affidarsi al mercato e alle piattaforme digitali, come intende fare il governo capital-populista italiano, non allevia le tensioni tra logica del profitto e giornalismo. Le peggiora.

*** Intergruppo parlamentare per Radio Radicale

Il Partito Democratico, Forza Italia e il gruppo misto al Senato hanno aderito all’intergruppo parlamentare a sostegno di Radio Radicale. «Il governo deve rinnovare la convenzione – ha detto Graziano Delrio (Pd) – è impensabile che un servizio prezioso per la democrazia si spenga per la miopia di questa maggioranza». «Non possiamo permettere al governo di chiudere una voce di libertà» ha detto Maria Stella Gelmini (Forza Italia). «È un’emittente fondamentale per l’informazione sulla politica e la giustizia, il valore dei suoi archivi è inestimabile» ha commentato Loredana De Petris (LeU/gruppo misto).