Mentre in Myanmar continua la repressione e si accumulano accuse false ad Aung San Suu Kyi, in Italia, come già sulla vicenda delle cartucce Cheddite, aleggia il mistero anche sulle attività dell’International Institute of Humanitarian Law (Iihl) di Sanremo, che per ora smentisce qualsiasi legame col Myanmar. Vicende del tutto secondarie rispetto a ciò che accade nel Paese ma inquietanti perché infilate in quel cono d’ombra che, in un modo o nell’altro, sembra aver favorito la parte più oscura del Paese e cioè i rapporti sia economici sia di relazione di un apparato militare «deviato».

Un apparato che gli Usa si appresterebbero a colpire con sanzioni mirate contro i due potenti conglomerati Mehl e Mec controllati dal Tatmadaw, l’esercito protagonista oltre che di false accuse contro Suu Kyi e il presidente Win Myint, anche di stragi quotidiane (il bilancio era ieri di 320 morti e 2981 arrestati, inclusi un centinaio catturati dopo lo «sciopero silenzioso» di mercoledì).

SUU KYI DOVREBBE RIAPPARIRE in corte il 1 aprile, difesa da due giovani avvocati selezionati dalla giunta tra i sette proposti dal partito della Lady. Deve affrontare diverse accuse: violazione delle leggi sanitarie, possesso di walkie-talkie e corruzione per 600mila dollari e oro ricevuti da U Phyo Min Thein, a capo della regione di Yangon, che in un video la accusa. Ma esperti di manipolazioni audio hanno contestato il labiale che non corrisponderebbe a quanto il ministro dice.

Intanto, dall’Iihl di Sanremo smentiscono il contenuto del documento del ministero della Difesa australiano, in parte leggibile seppur con 7 pagine di omissis: «Noi non abbiamo mai fatto nessun corso per questi ufficiali del Myanmar. Non so come sia arrivata questa cosa dell’Australia», cade dalle nuvole la segretaria generale Stefania Baldini.

A il manifesto però risulta altro: fonti in Italia confermano contatti tra il centro di formazione ligure e il Myanmar quantomeno in passato. E da Yangon riferiscono persino il nome di allievi eccellenti dei corsi: l’attuale viceministro del Welfare Aung Tun Khaing, che li avrebbe frequentati diversi anni fa (quando era nel governo democratico, prima della recente capriola).

«PER LA FORMAZIONE IN LINGUA locale ai militari siamo conosciuti in tutto il mondo – dice Baldini – quindi è possibile che anche il ministero della Difesa australiano abbia pensato di chiederci qualche corso specifico. Qualcosa abbiamo fatto, non molto, ma qualcosa ci è stato richiesto». Spiega poi che per queste attività diversi colonnelli di Paesi stranieri sono in pianta stabile da loro a Sanremo. «Da oltre 10 anni il Regno Unito invia al nostro Istituto un colonnello che dirige l’ufficio che si occupa dei corsi per i militari, affiancato da un altro colonnello francese. E per diversi anni anche l’Olanda aveva mantenuto presso di noi un proprio maggiore, come da tempo ce n’è uno statunitense. Ma francamente, ho controllato per sicurezza nei nostri rapporti di attività, questo corso ai birmani non l’abbiamo mai fatto».

Insomma, a loro dire l’Istituto non ha mai organizzato nessun corso ad hoc per il Myanmar. Ma questo non vuol dire che non vi abbiano mai partecipato birmani: «A volte nella stessa classe – ammette Baldini – abbiamo avuto persone che venivano da Paesi in guerra o con i quali non c’erano nemmeno rapporti diplomatici. Sempre tramite la Croce rossa internazionale, non so quanti anni sono ormai, selezionavano da Pechino un numero di ufficiali cinesi che mandavano da noi a fare i corsi con i loro interpreti. Anni fa abbiamo anche avuto un paio di persone dalla Corea del Nord e sempre col nostro colonnello inglese abbiamo organizzato un corso nello Sri Lanka assieme alla Croce Rossa».

SU UN’ALTRA COLLABORAZIONE tra Myanmar ed Europa, il programma MyPol tra Unione europea e Naypyidaw, iniziato nel 2016, non occorre invece aggiungere altro. Un comunicato recita: «Alla luce dell’interruzione della transizione democratica non sussistono più le condizioni affinché il progetto possa funzionare». Chiaro e inequivocabile.