«L’Italia si attende, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione». L’Italia, la cui «esperienza di contrasto alla diffusione del Coronavirus sarà probabilmente utile per tutti i Paesi della Ue». Bisogna tener conto di chi è Sergio Mattarella, pensare al suo stile sempre sobrio, per valutare appieno la forza del comunicato diffuso ieri sera dal capo dello Stato. Senza bisogno di nominare nessuno: era già chiaro che prendeva di mira le improvvide parole di Christine Lagarde sulla Bce che «non si occupa di spread».

A SPINGERE IL PRESIDENTE a dettare parole così severe è stata prima di tutto la convinzione che fosse necessario scendere in campo aperto in difesa dell’interesse nazionale. È un fatto che da ieri, in buona parte come conseguenza delle parole della presidente della Bce, il governo si trova con due fronti aperti, entrambi di micidiale valenza: il virus che avanza e ha superato la soglia dei mille morti, e un crollo in Borsa senza precedenti. Mattarella, probabilmente, voleva anche impedire che la reazione alle parole poco assennate della presidente della Bce fosse impugnata solo dal fronte sovranista, che era già all’attacco, con Matteo Salvini che la bollava come «peggio di Ponzio Pilato» e Meloni che chiedeva al governo di reclamarne le dimissioni.

IN REALTÀ la levata di scudi stavolta è bipartisan. I 5 Stelle concordano: «O fa il mea culpa e dichiara di essere pronta a sostenere l’economia reale o ci sarà la nostra richiesta di dimissioni». Persino il sempre prudentissimo Pd si scompone: «È una voce del tutto stonata rispetto agli impegni presi da Ursula von der Leyen». Il premier Conte non si scopre ma affronta il problema direttamente al telefono con Angela Merkel, poi lascia la parola al sottosegretario Fraccaro: «La Bce ha il dovere di agire». Il ministro dell’Economia Gualtieri, uomo di punta della Ue nel governo italiano, getta acqua sul fuoco sottolineando che la Bce «è il presidio dell’Eurozona». Però, diplomazia a parte, batte sullo stesso tasto: «Sono sicuro che la Bce utilizzerà tutti gli strumenti a disposizione».

È EVIDENTE che la reazione corale mira anche a ottenere risultati concreti, aiuti nella misura di molti, moltissimi miliardi. «Servono centinaia di miliardi», dice uno che se ne intende, l’ex presidente del consiglio e della commissione europea Romano Prodi. Oggi, salvo sgraditissime sorprese, la Commissione sospenderà di fatto il Patto di stabilità. Ma non basta. Serve un intervento diretto della Bce, con immissione di liquidità massiccia e investimenti diretti o indiretti. È stata la stessa Lagarde a indicare ieri questa strada, con il possibile acquisto da parte della Banca di titoli delle aziende dei «Paesi in difficoltà». Come dire delle aziende italiane.

PER IL GOVERNO L’URGENZA ora è definire il dl che destinerà oggi 12 miliardi all’emergenza Coronavirus. Ma anche le misure draconiane prese mercoledì sera potrebbero non bastare. Di certo non bastano all’opposizione che insiste per «chiudere tutto», intendendo anche i negozi non essenziali ma soprattutto le fabbriche. «I medici chiedono di chiudere tutto quello che non è strategico. Il decreto non è completo», sentenzia Salvini. «È una modesta estensione del Dpcm di due giorni fa», incalza Meloni. Lo stesso governatore lombardo Fontana chiede di andare oltre.

MA IL VERO PUNTO dolente è la rivolta operaia e sindacale di ieri. Quella proprio non può restare senza risposta, anche perché ci andrebbe di mezzo la coesione sociale necessaria per resistere all’offensiva del virus. Gli operai non possono essere carne da cannone. Né può bastare la soluzione del capo della Protezione civile Borrelli: «Mascherine dove non si può mantenere la distanza di sicurezza». Ieri il ministro delle Regioni Boccia ha approntato delle linee guida, ma il ministero ritiene che buona parte delle scelte spetti proprio alle Regioni. Stamattina Conte ha in agenda un vertice in videoconferenza con le parti sociali proprio per cercare di sciogliere il nodo. La questione investe anche il capo dello Stato, a cui la Fiom di Mirafiori si è rivolta direttamente. E sul Colle la convinzione è che senza un ruolo centrale del sindacato non può esserci soluzione.