Forzando un po’ la mano, si potrebbe dire: meno Parlamento, più polizia. Meno Parlamento europeo, più Europol. I fatti: meno di sette giorni dopo il voto all’assemblea di Strasburgo che chiedeva di vietare la sorveglianza di massa e che fissava limiti precisi all’uso dei dati e del riconoscimento facciale da parte delle polizie, ieri la commissione, che un po’ ironicamente si chiama “per i diritti civili e le libertà” – LIBE –, ha deciso di andare nella direzione opposta. E a maggioranza – contrarie sinistre e verdi – ha dato il via libera all’ampliamento dei poteri dell’Europol, l’ufficio europeo di polizia. Che d’ora in poi potrà acquisire dati di chiunque, praticamente senza vincoli.

L’uso delle informazioni personali da parte dell’Europol già l’anno scorso era stato oggetto di forti polemiche. Le aveva sollevate proprio il Gepd, l’ufficio di Bruxelles per la protezione dei dati. Che aveva denunciato come la raccolta di tanti, troppi elementi non rispettava il mandato legislativo. Che prevede – meglio: prevedeva – il divieto assoluto di raccolta per persone non implicate in indagini e che soprattutto obbligava l’agenzia a resocontare, a rendere trasparente la propria attività in questo campo.

Limiti e regole che ora salteranno. Con una nuova legislazione che renderà addirittura ininfluente il ruolo del Gepd. Perché d’ora in poi l’Europol potrà trattare dati provenienti da qualsiasi data-base, anche provenienti da “privati”, anche quelli che potrebbero fornire i provider di Internet. Non solo ma l’Europol potrà visionare dati addirittura di paesi fuori dall’Europa, quelli che scelgano “di fornirli volontariamente”. Ignorando se in quegli Stati la privacy ed i diritti delle persone siano rispettati, come prevedono – ancora – le norme del vecchio continente.

Senza contare che prima l’Europol aveva l’obbligo – formale, certo ma pur sempre vincolante – di dover spiegare “lo scopo”, la ragione per la quale acquisiva dati personali. Ora quel vincolo è stato cancellato. Compensato con la presenza di due parlamentari nel gruppo di controllo sull’Europol (lo chiamano: JPSG). Ovviamente, come “osservatori”.

Ma c’è di più. Di più allarmante: la commissione ha dato mandato all’agenzia di “ricercare, con finanziamenti europei, nuovi algoritmi e nuovi strumenti di contrasto alla criminalità”. Tradotto: si chiede alle polizie di investire nell’intelligenza artificiale. Esattamente l’opposto di quanto votato il 5 ottobre dal Parlamento europeo che ha chiesto – letteralmente nel testo – la fine di “ogni attività nel campo dei modelli predittivi nella repressione dei crimini”. Proprio perché “gli effetti discriminatori di queste pratiche sono ormai evidenti, queste tecnologie riproducono pregiudizi ai set di dati, con un impatto sproporzionato sui gruppi emarginati”, per usare le parole di Chloé Berthélémy, consulente politico dell’European Digital Rights (EDRi).

A tutto ciò il relatore del Libe, il popolare spagnolo Javier Zarzalejos ha risposto con le stesse identiche parole di chi a Strasburgo si era opposto alla mozione contro la sorveglianza di massa: “C’è poco da fare, serve una polizia capace di elaborare grandi insiemi di dati personali, anche a fini di profilazione. E’ essenziale per combattere la nuova criminalità”.

Una commissione e le pressione delle polizie nazionali dunque valgono più di un parlamento. E ora si addensano pesanti nubi sulle decisioni che tra poco dovranno prendere i governi europei sull’Artificial Intelligence Act.