«Le testate locali sono fondamentali per la difesa del pluralismo di informazione e opinione nei territori, hanno sopperito alle mancanze del servizio pubblico. Anche per questo difenderemo i fondi all’editoria. Comunque diciamo no alla tagliola». A parlare – a nome della Lega, sottolinea più volte – è Alessandro Morelli, presidente della commissione trasporti della camera, in una conferenza stampa in cui ieri le associazioni del fronte del pluralismo hanno impostato la prossima battaglia.

È tutta in salita, come al solito, stavolta forse più. In queste ore di grande difficoltà dei 5 stelle, il sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi ripete la formula dell’«azzeramento dei fondi» come una bandiera. Ma, replica Morelli, «il tema non è nel contratto di governo, e non c’è grazie alla Lega». Nei prossimi giorni i due si incontreranno. Morelli, ex direttore di Radio Padania, conosce il settore e le sue ricadute politiche e di principio. Per una riforma, che auspica, prima ancora di fare il conto dei costi e delle migliaia di posti di lavoro, propone di puntare «sulla rivoluzione 5 G che avverrà nel 2020», possibile criterio per attribuire i fondi.
Ma la prima emergenza è la manovra nella quale è previsto un taglio ai contributi per «spese indirette», quelle per l’uso dei telefoni o delle connessioni. «Liberi e uguali presenterà un emendamento soppressivo», annuncia il capogruppo alla camera Federico Fornaro. E battaglia annuncia anche Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza italia: «L’accanimento nei confronti dell’informazione» è sintomo «di una deriva autoritaria» dei 5 stelle, «Non è una questione di profitto, ma di diritti. E quello all’informazione appartiene a tutti e va salvaguardato».

«Il pluralismo dell’informazione è un elemento fondamentale per la democrazia, sancito dalla Costituzione, che merita di essere tutelato e promosso», ricorda un cartello formato dall’Alleanza delle cooperative italiane della comunicazione, la Federazione italiana liberi editori, la Federazione italiana settimanali cattolici e l’Unione stampa periodica italiana, «Diciamo no a tagli indiscriminati ma siamo pronti come sempre a fare la nostra parte per migliorare ulteriormente la legge sull’editoria e il fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione». Alla loro voce si unisce quella di Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei giornalisti, e quella della Federazione della stampa.

La proposta, spiega Roberto Calari, presidente dell’Alleanza delle cooperative, «è un tavolo tecnico di confronto con le categorie impegnate nella filiera dell’informazione», sul modello di quello che già ha portato nel 2016 all’ultimo riordino della materia (e anche a tagli drastici) e che ha chiuso definitivamente con la stagione dei finanziamenti a chi non ne aveva diritto. Che del resto le vere cooperative hanno subito da parte lesa. «Una riforma, l’ultima, che rende già molto selettivo l’accesso ai fondi, ma che si può migliorare e che può essere rivolta al terreno dell’innovazione, dell’interazione con le community e con i territori, e aprire anche una riflessione sul terreno, complementare, della ricerca di nuove forme di sostegno alla domanda».

Che era poi, quest’ultimo, il ragionamento che Crimi proponeva prima di svoltare verso la tagliola. A sua volta l’azzeramento è «lo stesso proposito di Berlusconi, Tremonti, Renzi, D’Alema e Monti: riflettano i rappresentanti del governo del cambiamento», avverte Roberto Palo, presidente della File, «forse perché le nostre testate funzionano e per questo creano insofferenza nel potere», per questo «dovrebbero essere messe al riparo dai capricci delle maggioranze di turno, dai tentativi di colpi di mano e dal furore ideologico».

A parlare del pluralismo è il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick. Che fa la rassegna delle tante sentenze in cui la Corte ha declinato in concreto l’art.21 della Carta. E che indica nelle testate locali il primo avamposto dove questo pluralismo va difeso. Ma non l’unico, aggiungiamo noi.