Dall’Austria alla Siria passando per la Macedonia del Nord. È il percorso di Fejzulai Kujtim, responsabile dell’attentato terroristico che ha colpito Vienna. Austriaco, macedone del nord, di etnia albanese, Kujtim aveva tentato di recarsi in Siria per combattere tra le fila dell’Isis, senza riuscirci. Era stato bloccato al confine con la Turchia e rispedito indietro in Austria dove era stato arrestato, poi rilasciato e inserito in un programma di deradicalizzazione.

UN PERCORSO, quello di Kujtim, che fa emergere la connessione sempre più stretta tra la diaspora balcanica in Europa, che soprattutto in Germania e Austria è nel mirino della propaganda islamista, e la penetrazione jihadista nei Balcani, sottoposta alla pressione del ritorno dei foreign fighters dalla Siria e dalla sfida complessa della loro reintegrazione.

Da minaccia in uscita infatti il jihadismo ha mutato pelle in questi ultimi anni, divenendo una minaccia in entrata nei Balcani. Sono centinaia gli ex combattenti che rientrano nei Paesi d’origine, un ritorno complesso da gestire in generale e in particolare da Stati caratterizzati da una profonda fragilità delle istituzioni che riflettono la fragilità dell’assetto post bellico e la retorica nazionalista di cui è intrisa la narrazione politica. Un lascito delle guerre dell’ex Jugoslavia che non consente di attuare un intervento strutturato e ad ampio raggio nella prevenzione e nel contrasto del terrorismo.

A QUESTA SFIDA si aggiunge anche quella della radicalizzazione, un processo che seppur circoscritto nei numeri, acquista una dimensione sempre più importante e sempre più violenta, foraggiata da Stati quali l’Arabia saudita che puntano ai Paesi a maggioranza musulmana dei Balcani per accrescere la propria influenza attraverso un afflusso di denaro e di predicatori che hanno costruito nel tempo una rete sempre più capillare nella diffusione del credo wahabita.

Gli stessi programmi di de-radicalizzazione avviati in questi Paesi non si rivolgono solo ai jihadisti di ritorno, ma anche a individui radicalizzati attraverso un’incisiva propaganda islamista che continua a trovare terreno fertile in comunità caratterizzate da identità fallite e frammentarie.

Una propaganda diffusa tanto nelle aree rurali, tanto nelle periferie dei centri urbani, ossia le aree economiche e sociali più disagiate. Una delle maggiori forze di attrazione della propaganda jihadista infatti, risiede negli incentivi economici, un elemento non di poco conto se si tengono presenti le condizioni stagnanti in cui versano le economie dei Paesi dei Balcani e in particolare, l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, tra i più alti d’Europa.

E SONO PROPRIO I GIOVANI il target privilegiato dei terroristi, un dato in linea con altri Paesi europei. Dimestichezza con i social network, disagio sociale e psichico, pattern criminale sono i tre elementi che ricorrono più spesso nell’identikit dei giovani reclutati in attività terroristiche. Di fronte a una sfida così complessa i Balcani si riscoprono per lo più impreparati. Esiste una minaccia terroristica proveniente da lupi solitari, ma nessuna strategia contro il terrorismo è possibile se prima non si lavora al consolidamento delle istituzioni e all’allentamento delle tensioni inter-etniche che finiscono per alimentare indirettamente le fila del terrorismo.
I Balcani non sono solo un luogo di sedimentazione del fenomeno jihadista. La loro posizione rileva anche sotto il profilo della mobilità: la loro posizione strategica è fondamentale per il reclutamento di uomini, ma anche come base logistica delle attività terroristiche e soprattutto per il reperimento di materiale bellico.

NELLA STORIA recente degli attentati in Europa le armi impiegate dai terroristi provenivano per la maggior parte dal mercato nero delle armi dei Balcani, anche questo un lascito avvelenato delle guerre degli anni Novanta. L’intersezione del terrorismo con i gruppi criminali che gestiscono il traffico di droga e di esseri umani rendono poi ancor più permeabili questi Stati al jihadismo che in assenza di tali traffici non potrebbe una dimensione transnazionale, né finanziare le proprie attività terroristiche. Dalla stabilizzazione dei Balcani quindi passa la sicurezza dell’Europa, una lezione già nota su cui l’orrore di Vienna ci impone nuovamente di riflettere.