La campagna «io rompo» è stata una delle più difficili in cui mi sia mai imbattuto. Non che qui al manifesto dispiacciano le missioni impossibili ma quando un anno fa ci siamo trovati dalla sera alla mattina con il pesantissimo taglio di Vito Crimi ai fondi per il pluralismo (letteralmente, era il 30 dicembre 2018 e i tagli sarebbero iniziati a capodanno ) il pericolo di perdere il coraggio era palpabile.

Dovevamo lanciare l’allarme (serio e universale, per la libertà di informazione) e contemporaneamente chiamare a raccolta il nostro pubblico per un obiettivo politico convincente e diverso dai soliti che si sentono in giro.

Non dovevamo piangerci addosso ma il pericolo era davvero mortale (e lo è ancora, perché il taglio è stato solo rinviato di qualche mese). Volevamo insomma indicare una strada editoriale possibile, che fosse autenticamente «alla manifesto» e si distinguesse subito sia dal lato della comunicazione che dal lato del risultato giornalistico da realizzare al termine della campagna.

L’incontro con un creativo come Fabio «Ciccio» Ferri è stato provvidenziale. Il suo innato ottimismo ci ha aiutato a mettere a fuoco gli obiettivi della campagna e a portarla avanti per 250 giorni senza annoiare noi e il pubblico. Anzi, pensando alla nostra consueta povertà di mezzi e guardandola a posteriori, è stata un’impresa titanica e folle.

I risultati sono presto detti: più di 2.230 «patroni», oltre 164.000 euro di abbonamenti digitali raccolti, 50 giorni di ilmanifesto.it gratis per tutti da «liberare» entro quest’anno. Certo, l’obiettivo di 1 milione di euro che ci eravamo prefissi è rimasto un miraggio ma, detratte le spese, la campagna garantisce comunque un primo budget per costruire il nuovo modello digitale di informazione e comunità a cui stiamo pensando da tempo.

«Io rompo» è stata una campagna molto sperimentale, per noi e per il mondo della stampa sempre più in crisi: vogliamo far sì che i «patroni» dell’informazione indipendente diventino un nostro modello permanente di sostegno, diverso e parallelo rispetto agli abbonati e ai lettori.

Una comunità che dovremo imparare ad ascoltare e a conoscere. Infatti, la sfida che attende non solo noi ma tutti i giornali è costruire relazioni sempre più autentiche con la propria comunità. I giornali servono per informarsi ma sempre di più anche per «formarsi».

Abbiamo incontrato molti professionisti in gamba in questo lungo percorso. Ci siamo sperimentati «videogamer» e «rompitori» di muri digitali. Parentesi: naturalmente mi dissocio da tutti i virgolettati che mi ha creativamente attribuito il compagno e amico Fabio Ferri qui ;-).

Abbiamo realizzato video e campagne virali sui social. Cose che non sempre abbiamo fatto in passato ma che stiamo imparando a realizzare insieme ai nostri partner e creativi. È un’attività parallela rispetto a quelle che facciamo e apprezziamo da tempo, come ad esempio le «cento cene» in corso in tutta Italia in cui ci incontriamo e facciamo il punto con molti di voi, a centinaia.

La sfida che abbiamo di fronte è politica, culturale, economica, editoriale. Un universo di domande si rovescia su questo collettivo che si prepara a celebrare i 50 anni dalla prima uscita in edicola del manifesto.

 

 

I nostri punti fermi siete voi, la nostra «comunità» resistente, come e più di noi. Tutto quello che faremo, nei prossimi mesi, dovrà vedervi protagonisti, e dovremo imparare a lavorare insieme, lottare, capire meglio i fatti che ci circondano.

Uno dei primi muri da abbattere nel 2020, infatti, è quello tra redazione e pubblico. Un rapporto che non si esaurisce nella pagina delle lettere o con un indirizzo email.

Un altro muro da cancellare è quello tra carta e digitale. Nessun «contenuto» può essere concepito ormai come fatto solo di cellulosa o solo di bit ma deve circolare sulla carta e sulla Rete nelle forme loro proprie.

Sembrano banalità ma è la cosa più difficile per un giornale come il nostro.

Il viatico saranno i 50 giorni di sito gratuito che i «patroni» hanno regalato al resto del mondo. Una promessa e un impegno che onoreremo nel momento più opportuno, quando tutto (o quasi) sarà pronto.

Come sempre, ogni campagna che finisce in realtà alza il velo su quella che comincia. I nostri cinquant’anni, i prossimi cinquant’anni del manifesto.

Nulla di più, nulla di meno.

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