«Entro l’inizio dell’autunno faremo un’assemblea più grande. Ma partiamo subito, prima dell’estate. Aspettiamo il 24 la decisione dei comitati del No». Il giorno dopo l’avvocata Anna Falcone è ancora sull’onda dell’entusiasmo per l’affollatissima assemblea del Brancaccio – 1400 schede di partecipazione distribute – in cui è stata lanciata l’Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza – nome provvisorio –. Cinque ore di dibattito, decine di interventi. Ci sono «i compagni», c’è Luciana Castellima, Vendola, Fassina, Ingroia, Cesare Salvi. Sono i fischi verso l’assente Giuliano Pisapia però a tenere banco. «Episodio non centrale», per gli organizzatori. Non per il fischiato e i suoi. Il Pd se la spassa: «Neanche nati sono già divisi», c’è chi spiega.

Gli ex Pd fanno capire che anche dopo l’assemblea non hanno cambiato idea: «Vogliamo costruire un campo largo, non settario, non identitario dove tutti sono felici perché sono d’accordo. Per questo per noi è fondamentale la presenza di Pisapia» dice Roberto Speranza a Omnibus, su La7. Non c’è stata nessuna rottura, spiega Falcone, «il primo luglio, all’assemblea di Pisapia e Bersani, se ci faranno intervenire, porremo domande sul programma».

Per ora porta a casa una domenica intensa, quella dei ’civici’ chiamati a raccolta da lei e dal professore Tomaso Montanari. «Non siamo qui per rifare una lista arcobaleno, ma una grande coalizione civica di sinistra per l’attuazione della Costituzione», apre. «Il nostro obiettivo è la costruzione di una sola lista a sinistra», spiega Montanari. Una sola lista, rigorosamente alternativa al Pd: «Pensiamo che il Pd sia ormai un pezzo della destra».

Nessuna tenerezza verso M5S, «prigioniero di una oligarchia imperscrutabile, sempre più spostato a destra». Montanari tiene i partiti a distanza, ma ringrazia Possibile e Sinistra italiana, i primi a rispondere all’appello, e poi Prc, Altra Europa, Pci, Dema e Art. 1. L’elenco delle sigle è lungo. Ma il grande applauso arriva quando apre le danze contro l’assente Pisapia. «Lo abbiamo invitato. Ci ha risposto ‘non ci sono le condizioni perché io venga’. Non ci è sembrato un buon inizio». Viene giù il teatro quando il professore fa l’elenco degli errori del qui non rimpianto centrosinistra: legge Turco-Napolitano, le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro, la guerra illegittima in Kosovo». D’Alema in prima fila si irrigidisce, ma resta fino alla fine.

La ‘Ditta’ Bersani&Pisapia è un oggetto di polemica della giornata: li si accusa di poca chiarezza e di tollerare le manovre di riavvicinamento al Pd dell’ex sindaco. In sala ci sono Laforgia, Scotto, D’Attorre, Rossi, Speranza. Dal palco parla il senatore Miguel Gotor. Fra le contestazioni: un sindacalista triestino parte dal fondo della sala per chiedere conto del voto contrario sui voucher (il gruppo di Mdp al senato è uscito dall’aula per non votare contro la fiducia al governo Gentiloni, di cui fa parte). Poi è la volta di una donna del centro sociale napoletano Je so’ pazzo che sale sul palco e denuncia la censura degli organizzatori. A Gotor risponde Nicola Fratoianni (Si): «L’unità è importante, ma al primo posto c’è la credibilità». Infiamma i presenti Maurizio Acerbo, segretario del Prc: «Non ci presteremo al restyling di quelli che hanno perso il congresso Pd», e finisce salutando a pugno chiuso la platea.

Ma il vero protagonista è il presepe di interventi dei ’civici’, da quelli del comitato del No ad Andrea Costa, attivista romano del Centro Boaobab Experience, «torniamo a una sinistra che sappia fare disobbedienza civile». Arriva il saluto e l’incoraggiamento di Francesca Koch, presidente della Casa internazionale delle donne, le parole degli ex magistrati Livio Pepino e Paolo Maddalena, di Francesca Redavid della Fiom, di Giuseppe De Marzo di Libera. Altri si aggiungeranno, è l’auspicio, strada facendo.

E invece per Mdp le prossime ore saranno quelle dei chiarimenti. Scomoda la posizione dei bersaniani: contrari all’alleanza con il Pd offerta da Pisapia a Renzi, maaltrettanto al rischio di finire in un front de gauche. E tuttavia molti dirigenti di Si scommettono che, nonostante i fischi, ora la lista unica della sinistra è più vicina: «Chi non ci sta, finirà nelle liste del Pd», è la certezza. O l’auspicio.