Per suggestione dei canzonieri arabi classici, e segnatamente di quello celebre di Hafiz, con il titolo «Divano Occidentale-orientale», Goethe raccoglie nel 1819 le liriche composte nei quattro anni precedenti. Divano sta per elenco ordinato, raccolta. Il vocabolo (tiene nell’etimo la radice di scrivere) ha la sua origine nel persiano «diwan» donde pervenne alla lingua araba e alla turca e, da queste, senza alterazioni o corruzioni, passò in Occidente, a quanto pare nel primo Seicento, come affermano i più (ma l’uso di «divan» in Francia è attestato all’anno 1558 e in Spagna fin dal XII secolo), tal quale nella lingua spagnola e francese, nella tedesca e nell’inglese. E in italiano.

Si intitola allora questa rubrica «Divano» per dichiarare che vi si tratterà di argomenti scelti, collocati in una disposizione riconoscibile, svolti secondo un metodo. Del resto, con «diwan» si intendeva proprio rubrica, semplicemente. Era infatti il registro nel quale si segnavano i nomi dei dignitari che formavano il Consiglio di stato dell’impero turco, sicché si usava dire che era riunito il «diwan» quando costoro si adunavano in seduta plenaria. Da qui, divano come luogo in cui si assumono responsabilità pubbliche o esercizio di un pubblico ufficio. E lo scrivere su un quotidiano è atto pubblico di cui si porta piena la responsabilità. Pure per questo verso si vorrebbe giustificato il nome prescelto per questa rubrica. Michele Rago, fatta la sua esperienza di redattore al «Politecnico» di Elio Vittorini, in un suo «Manuale del giornalista», compilato al tempo in cui era direttore di «Milano Sera», a proposito della ‘rubrica’ – «nota che è nello stesso tempo di continuità e di varietà» – tra l’altro scriveva: «nella rubrica la realtà si allarga, si entra nel campo della informazione e della critica culturale. Non esistono più legami precisi con l’attualità: è la stessa rubrica che, con i suoi pregi particolari, crea in qualche caso l’attualità».

Quali pregi particolari possono creare l’attualità di una rubrica? Entro spazi tipografici dati, con regolare periodicità, il giornale pubblica note dedicate a temi tra loro affini, percepiti, se non in stretta continuità, almeno entro un giuoco di corrispondenze e rimandi reciproci. Chi si appresta a redigere una rubrica, si dispone ad un esercizio di scelta, cioè di critica e di approfondimento. È necessario accomodare competenze e inclinazioni provando a conferir loro un verso, una direzione. Nel concepire il tenore della rubrica, l’autore pone nel contempo alla prova la sua maturità di giudizio e i presupposti di metodo con le sue predilezioni, i suoi gusti. Mettere in luce il particolare per intendere l’insieme. E porre in evidenza il particolare in virtù di sensati ingrandimenti, di commisurate rispondenze. Considerare la forma propria o, più semplicemente, il carattere, il modo, il tratto di una poesia o di un dipinto. O d’un edificio, d’un luogo o d’un paesaggio. Illustrare una vicenda esemplare, in sé o per un significato che racchiuda.

Lo scegliere e l’ordinare comportano allora una implicazione, un incontro, un coinvolgimento. Quando, addirittura, non mettono capo ad un atto critico che rivendica una sua non differibile presenza. Tale l’attualità della rubrica. Abbiamo dichiarato le nostre intenzioni intrecciandole sull’ordito d’una antica parola.

Oggi designa un mobile che non è letto e non è sedia, pur partecipando d’entrambi: il divano, conforto al corpo. Concilia sia la meditazione solitaria come invita alla conversazione coltivata. E ci offre, col sonno che talvolta accoglie, il ristoro del sogno e dell’oblio.