Di tanto in tanto Nanni Loy rispunta come un reperto archeologico. Al suo Viaggio in seconda classe ha dedicato una puntata RaInchieste, programma condotto da Giorgio Zanchini su Rai Storia. Il lungo viaggio di Nanny Loy sui regionali di tutta Italia andò in onda in dieci episodi, visibili su Raiplay, nel 1977. Le telecamere e i microfoni nascosti volevano mostrare quell’Italia fatta da persone semplici che Nanni Loy, grazie a travestimenti, stimolava a svelarsi facendo così scoprire pensieri, pareri, atteggiamenti e opinioni che non arrivavano mai alle prime pagine perché non contenevano notizie eclatanti. Ciò nonostante quella trasmissione mostrava l’ossatura di fondo, quell’humus che fa di un Paese quel Paese. Era, quello di Loy, un lavoro antropologico che faceva della televisione uno strumento di analisi sociale e politica. Le piccole provocazioni architettate da Loy e dalla troupe di attori, una lite fra coniugi, una richiesta di aiuto dopo 25 anni di carcere, la preghiera chiassosa di un musulmano, puntavano a far emergere il lato più segreto degli italiani, la loro umanità, la loro capacità di ascolto e di immedesimazione, il loro atteggiamento verso i cambiamenti sociali, il loro parere su politica, guerre, potere, distribuzione delle ricchezze, sanità, nord e sud, relazioni amorose e affettive, istruzione.

RIVEDERE oggi i volti di quasi cinquant’anni fa mette di fronte a un Come eravamo in cui si fatica a riconoscersi. Non è solo una questione di abiti, moda, taglio dei capelli, tipologia dei vagoni, le sigarette fumate allegramente sul treno. Non è nemmeno, o tanto, l’assenza dei famigerati cellulari a marcare le sponde di quel Prima e Dopo talmente lontane che viene da chiederti quando e come è avvenuta la mutazione antropologica, perché di questo si tratta.
Il segno del profondo cambiamento sta nell’atteggiamento, nel modo di guardare, nell’attenzione che le persone mettono a ciò che accade attorno a loro, nel fatto che ascoltano e rispondono, sono disponibili anche a dare retta a un bislacco che dice o fa stranezze a volte anche moleste. Gli italiani del 1977 guardano il mondo che li circonda, vedono le persone che siedono loro di fronte, hanno un istintivo moto di gentilezza, sono disponibili ad aiutare e a raccontarsi. Certo, poi, come ha raccontato Bruno Gambarotta che a quella trasmissione collaborava anche con l’ingrato compito di raccogliere le firme per la liberatoria della messa in onda, non tutti erano contenti di sapere che erano stati filmati a loro insaputa e non tutti concedevano l’assenso, però questo ha più a che fare con il metodo che con il merito.

VEDERE Viaggio in seconda classe oggi è un’operazione straniante che ti fa chiedere quando, come e perché siamo diventati più smaliziati, sospettosi, meno curiosi, perché questo io vedo più spesso sui treni, e di treni ne prendo tanti, come se il viaggio fosse diventato più un momento in cui ti devi proteggere dai vicini che un’esperienza di scoperta. Oggi non sarebbe più possibile realizzare una trasmissione così, sono troppi i lacciuoli della privacy ma, soprattutto, che cosa c’è da scoprire quando il meccanismo dei selfie e dei social ha corrotto il rapporto con il sé e quello del sé con il mondo? Che cosa si può tirar fuori da una popolazione in parte ubriaca di narcisismo, adusa a filtri e auto promozioni, ansiosa di esibire soprattutto l’involucro? Oggi è l’era dei reality dove ci si dà in pasto per scelta a un occhio che spia e non più tempo di occhio segreto. L’inconscio è sempre lì, ma sepolto sotto chili di cerone e rappresentazione.

mariangela.mianiti@gmail.com