All’armi son fascisti è un piccolo e prezioso libro di Gastone Cottino, per le edizioni Gruppo Abele (pp. 64, euro 10) uscito postumo; il partigiano, l’autorevole giurista, l’antifascista e il comunista – impossibile raccontare la sua lunga e ricca vita – è mancato il 4 gennaio di quest’anno, alla soglia dei cento anni. Il volume esce con la collaborazione del Coordinamento Antifascista di Torino, del quale Gastone Cottino è stato animatore, trasmettendoci la sua energia nell’affollatissima assemblea che l’anno scorso ne ha visto la nascita; una energia insieme indignata ed entusiasta, di consapevole e critico realismo ma anche forte della volontà e dell’azione per cambiare il mondo. Si rivolge ai giovani, ricostruendo per loro «il filo e il senso» della storia, con le persistenze di un fascismo che, se «non si presenta allo stesso modo» e non conosce «sovrapposizioni automatiche», mostra insidiose «equipollenze».

IN PRIMO LUOGO, vi sono le continuità, «un fil rouge tra l’Italia liberale, il ventennio fascista, il centrismo e anche il centrosinistra fino ad arrivare all’impennata del berlusconismo» e, infine, allo «strappo grave» di Giorgia Meloni, con la fiamma nel simbolo del partito a esplicitare i legami con il passato; ci sono gli errori e le rimozioni, con il «fascismo nelle istituzioni» mai scomparso. E poi, le responsabilità della sinistra, il suo «passaggio dall’altra parte, il passaggio al neoliberismo»: la «rinuncia all’ideologia e a cambiare il mondo», l’impressionante «accettazione cieca del capitalismo». Senza veli è la critica degli intellettuali «che hanno puntualmente tradito», non sono stati capaci di «vera autocritica» e di «atteggiamenti coerenti».

Il terreno del fascismo è coltivato con una informazione embedded: l’«indottrinamento attraverso i mass media» fa «perdere la capacità di giudizio e la libertà di valutazione»; «non sei obbligato a tacere, ma taci perché non hai più conoscenza».

Quando Gastone Cottino scriveva non vi era ancora stato il 7 ottobre 2023, ma, accanto alla deformazione della guerra ucraina, alla mancata considerazione del contesto, ricorda l’«apartheid cancellato della Palestina».

LA VIOLENZA del fascismo erompe nelle stragi, come piazza Fontana, o, più vicino a noi, nell’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre 2021, e permea la cultura politica della destra, con «il culto della forza», la visione della forza come «legittimazione del successo»: «è giusto che i più forti vincano, da un punto di vista genetico, da un punto di vista sociale, da un punto di vista comportamentale».

Qui sono le radici dell’ossimorica democrazia del capo, così come dell’ottimo rapporto con il neoliberismo: «la destra è compatta nel procedere sotto braccio con il peggior capitalismo neoliberista»; «come diceva Gramsci, il capitalismo non sceglie a priori un partito, sceglie quello che gli serve…; diventa autoritario quando all’orizzonte si profilano segni di minaccia per il manovratore».

È il neoliberismo autoritario – si può chiosare – che si profila sempre più minaccioso, a blindare diseguaglianze sociali, a reprimere il dissenso, ad accompagnare la preparazione della guerra. «Il capitalismo si identifica con le grandi alleanze fra tre soggetti: i signori della guerra, i signori dell’economia e i signori della politica».
Il culto della forza, ancora, fonda il razzismo, la necropolitica che caccia i migranti «in fondo al mare», giustifica i centri per il rimpatrio, «lager», dove le persone sono detenute per la colpa di esistere.

E «NOI SAPPIAMO TUTTO… i barconi e la disperazione dei sopravvissuti… è tutto dispiegato, eppure non c’è questo passato di empatia che ti fa schierare con le vittime di questa gigantesca ingiustizia»; «la tragedia, oggi è l’accettazione passiva che cresce anche se non c’è un velo di ignoranza da strappare. E non so se parlare di indifferenza o di servitù volontaria».

È un’analisi cruda, quella di Gastone Cottino, ma è un pessimismo combattente, occorre reagire: «non possiamo aspettare ancora». «Ci sono nonostante tutto segnali di resistenza e di riscossa», che è necessario unire, lottando per «una società in cui si persegua la partecipazione e non il culto del capo, in cui si metta al centro il pubblico e non gli interessi privati, che concentri i suoi sforzi sulla salute e sull’istruzione, che persegua l’uguaglianza e condizioni di vita accettabili per tutti e tutte»; «una società aperta e solidale capace di accogliere chi lo richiede».

Lascia a tutte e tutti noi il testimone: «Non arrendetevi mai!».