Ripensarci, a volte fa impressione. L’anno prossimo il manifesto compie cinquant’anni (primo numero il 28 aprile 1971), mezzo secolo. Questo traguardo, peraltro, è già stato varcato l’anno scorso con i cinquant’anni trascorsi dall’uscita del primo numero della rivista mensile (giugno 1969), che poi lascerà il posto al quotidiano. Quindi, questo giornale esisteva prima di Repubblica che nasce nel 1976. Ed è in edicola e su internet tuttora ogni mattina, a differenza dei «cugini» dell’Unità e di altre testate della sinistra.

È un miracolo politico su cui indagare e che ha coinvolto varie generazioni di giornalisti e militanti. Perché il manifesto è stato pure una scuola di giornalismo, oltre che di politica, senza eguali. Per chi ricorda lo stanzone di piazza del Grillo 10 (prima sede della rivista) e il quinto piano di via Tomacelli 146 (indirizzo della redazione per tanti anni), c’è da stropicciarsi gli occhi increduli.

NEL 1971 SI PENSAVA al «quotidiano corsaro» – come lo chiamava Luigi Pintor, colui che lo inventò più di altri – come a qualcosa che avrebbe avuto vita incerta e forse breve. Invece, il manifesto fa parte a tutti gli effetti della storia e del presente della sinistra italiana e del giornalismo.

Massimiliano Di Giorgio, per molti anni redattore dell’agenzia Reuters, ne racconta la storia con un volume appena uscito che sembra avviare le celebrazioni del cinquantenario: Il giornale-partito. Per una storia del manifesto (Odradek, pp. 288, euro 22,00).

L’autore, con questo testo, rielabora la sua tesi di laurea del 1990 dimostrando una certa curiosità costante nell’occuparsi del nostro giornale. Certo, l’attenzione è più rivolta alle origini di tale esperienza e ai suoi primi decenni ma un capitolo finale arriva con la sua cronistoria addirittura fino al 2019.

Ascolta l’intervento di Aldo Garzia alla presentazione del libro di Roma (07/02/20202, libreria Feltrinelli di via Tomacelli)

La ricostruzione è ben fatta con appendice, bibliografia, citazioni e cronologia. Lascia un po’ perplessi invece il titolo scelto. Nel linguaggio corrente degli addetti ai lavori il «giornale-partito» è sempre stato Repubblica, fiancheggiatore di vari tentativi politici dal governo di Ciriaco De Mita al Pd di Walter Veltroni e Matteo Renzi. Invece il manifesto ha vissuto l’identificazione con un partito solo fino al 1978 (la convivenza con il Pdup guidato da Lucio Magri), scegliendo poi la totale autonomia e favorendo il pluralismo politico/culturale interno. Quindi, il manifesto è certo un marchio di fabbrica di una certa coerenza intellettuale per chi ne ha fatto e ne fa parte, guai però a pensarlo come una testuggine con il paraocchi.

DI TUTTO QUESTO ne è consapevole anche Di Giorgio, che suddivide la sua ricostruzione in varie fasi: quella «teorica» e «fondativa» (le origini e il passaggio dal mensile al quotidiano); quella «eroica» che va dalla nascita del manifesto fino a quando si pensa al giornale prevalentemente come uno strumento di aggregazione politica; quella «critica» che slega il giornale dal rapporto con un soggetto di azione politica e plasma via via quello che è ancora oggi con i suoi valori e i suoi limiti.

«Le origini», il primo capitolo del libro, è accurato e utile soprattutto per i giovani e i lettori che non hanno vissuto quegli anni. Si descrive bene la temperie politico/culturale in cui si forma la sinistra comunista che darà vita alla rivista mensile e poi sarà radiata dal Pci a fine 1969: dissenso sul «socialismo reale», analisi specifica delle forme del capitalismo italiano, limiti dell’azione dei primi governi di centrosinistra, necessità del rinnovamento del soggetto «partito» e della sua cultura, lettura dei nuovi movimenti del 1968-1969. Si racconta puntualmente come il manifesto metta radici originali nel panorama della sinistra italiana. Giusto spazio è dato inoltre alle basi teoriche del primo gruppo che si raccolse intorno al mensile (la piattaforma di Tesi del 1970 denominate «Per il comunismo»).

Ascolta l’intervento di Tommaso Di Francesco alla presentazione del libro di Roma (07/02/20202, libreria Feltrinelli di via Tomacelli)

IL QUARTO CAPITOLO del volume narra la nascita originale del quotidiano come un «secondo giornale» non esaustivo che ha successo in rapporto al bisogno di novità nel panorama del giornalismo e dell’editoria. Questa è un’ottima chiave di lettura per capire il «miracolo» del manifesto: l’informazione era fino agli anni Sessanta arretrata, asservita, senza grandi tradizioni democratiche. I giornalisti erano una casta chiusa e autoreferenziale. Il ’68 fece irruzione pure in questo campo, chiedendo la democratizzazione del giornalismo italiano e proponendo nuovi profili professionali. La «professione» è stata, in quegli anni e poi, assalita dai tanti giornalisti formatisi nelle redazioni di manifesto, Quotidiano dei lavoratori, Lotta continua e poi in quelle delle emittenti libere.

Ascolta l’intervento di Massimiliano Di Giorgio alla presentazione del libro di Roma (07/02/20202, libreria Feltrinelli di via Tomacelli)

Nell’ultimo capitolo del libro, infine, dove si tracciano provvisorie «conclusioni», si ripercorrono in modo essenziale le varie tappe che hanno contraddistinto il quotidiano pure nel dibattito interno a volte molto aspro e divisivo, fino al riscatto – operato da una nuova cooperativa – della testata dai curatori fallimentari avvenuto nel 2016.

Eppure questo giornale è ancora in edicola contro i profeti di sventura che non credevano a un «secondo giornale» in vita per almeno mezzo secolo.