Quando non ci si fida dell’interlocutore, sempre meglio chiedere un patto scritto. E’ quello che ha fatto ieri Matteo Renzi, consultato nel tardo pomeriggio dall’esploratore Roberto Fico dopo M5S e Pd. E se questi due partiti – e in serata anche Leu- hanno detto senza riserve che vogliono un nuovo governo guidato da Giuseppe Conte (per il grillino Crimi è «indiscutibile»), il capo di Italia Viva si è ben guardato dal fare il nome del premier uscente.

ANZI, ALL’USCITA ha ricordato a più riprese che Conte faceva «riunioni fino all’alba», «emendamenti notturni», il contrario esatto di quello che Renzi ora pretende: un «documento scritto con chi fa cosa e in che tempi, per togliere a tutti gli alibi». Solo dopo questo programma alla tedesca, si potrà ragionare di nomi. «Faremo di tutto per trovare un punto di caduta, siamo a disposizione del presidente Fico», ricorda Renzi, che alla richiesta di «lealtà» avanzata poco prima da Nicola Zingaretti replica stizzito: «Lealtà significa dire in privato le stesse cose che si dicono all’esterno».

Mentre a Conte manda altri siluri sulla gestione del piano vaccini e sui banchi a rotelle, mettendo nel mirino il commissario Domenico Arcuri e le «primule» per i vaccini nelle piazze.

E al M5S che aveva definito «divisivo» il Mes sanitario, il rottamatore ricorda che di temi urticanti ce ne sono tanti, dal reddito di cittadinanza alla scuola al cashback. «Nessuno può pretendere di imporre agli altri le proprie idee», dice, citando ancora una volta l’ipotesi di un governo istituzionale se non si riuscirà a rimettere insieme i cocci giallorossi. «Vogliamo un governo politico ma non a tutti i costi», avverte Renzi, alzando ancora una volta la posta. «Il punto è come spendere i 209 miliardi dell’Europa in investimenti e non in sussidi», dice, «sulla scuola e la ricerca, le pmi, il terzo settore». «Serve un cronoprogramma», insiste, e su questo c’è l’accordo con Crimi.

MENTRE SUL NOME dell’inquilino per palazzo Chigi il capo di Italia Viva non fa nessun passo avanti. Anzi, al Quirinale aveva chiesto a Pd e M5S di far cadere i veti su di lui, ora insiste sui contenuti. Il tutto senza mai dire di essere disponibile a un Conte ter. «I nomi vengono alla fine», spiega, citando ancora l’ipotesi di un «governo istituzionale», affidato a un tecnico come Dario Draghi, l’unico secondo Renzi in grado di fare debito buono col Recovery. Una citazione continua, quella del governo tecnico, che viene letta come una sorta di pistola puntati sui presunti alleati.

IL PD SENTE SEMPRE PIÙ odore di bruciato e si domanda: «Prima della crisi stavamo lavorando con Conte al patto di fine legislatura, qui siamo tornati. C’era davvero bisogno di fare questo casino?». I dem non si fidano della buona fede di Renzi, ma di fronte alla richiesta di un impegno scritto dicono vediamo: «Lo prendiamo sul serio e siamo pronti a lavorare sul patto programmatico», spiega al manifesto Goffredo Bettini. «Ci auguriamo sia un confronto franco, approfondito e privo di strumentalità e di confusi diversivi e obiettivi politici», avverte Zingaretti.

Anche Leu è stufa dei giochetti: «Non è accettabile che ci sia una parte che ha diritti e doveri, che si muove con responsabilità, e altri solo diritti. In una coalizione si sta in spirito leale, nessuno può porre veti», dice il capogruppo Federico Fornaro.

Sul governo tecnico sostenuto anche dalla Lega e vagheggiato da mesi da Renzi, il Pd non fa mezzo passo indietro: «Se salta Conte si farà un governo del presidente che ci posti alle urne a giugno», il mantra che viene ripetuto al Nazareno. «Altre strade per noi non ci sono».

NELL’INCONTRO CON FICO Zingaretti ha indicato Conte come «la sola personalità capace di raccogliere i consensi necessari». E ha ribadito la «necessità di fare in fretta e dare certezza e sicurezza al Paese. Il Pd farà di tutto per raggiungere questo obiettivo». «A questo punto non si può davvero sbagliare», il messaggio del leader Pd. Che, a sua volte, ha fatto l’elenco delle priorità per il patto sul programma: chiusura e attuazione dello Sure e del Recovery Plan; riforma fiscale «all’insegna della selettività e della semplificazione»; riforma della giustizia «che coniughi garanzie costituzionali e tempi del processo»; un pacchetto di riforme istituzionali «di stampo proporzionale su cui già c’era stata ampia convergenza». Crimi concorda: si alle riforme istituzionali che accompagnino il taglio dei parlamentari.

Per Fico i prossimi due giorni (deve riferire al Colle martedì) si annunciano complicati. Nel 2018 ci vollero molti giorni per mettere a punto il programma gialloverde del Conte 1, questa volta il tempo non c’è. E il nodo del premier, continuamente rinviato da Renzi, dovrà essere sciolto prima di martedì. Al Quirinale nessuno potrà dire «i nomi vengono dopo». O dentro o fuori.