Roger Hallam, classe 1966, ha lavorato per 20 anni come agricoltore biologico. Quando l’ennesimo evento climatico estremo ha distrutto il suo raccolto ha deciso di intraprendere un dottorato per studiare le forma di mobilitazione sociale più efficaci. Voleva combattere la crisi climatica. Nel 2018 ha partecipato alla fondazione Extinction Rebellion, movimento ecologista che ormai è presente in 72 paesi e ha portato in piazza decine di migliaia di persone in Uk. «Il nostro è un progetto di trasformazione del sistema», dice al manifesto.

Come e perché è nato Extinction Rebellion (Xr)?

Diversi accademici e attivisti sono arrivati alla conclusione che le mobilitazioni contro il cambiamento climatico degli ultimi 30 anni hanno fallito. Le emissioni di anidride carbonica sono aumentate del 60% dal 1990 e continuano a crescere. È chiaro che gli approcci convenzionali per trattare la situazione del clima non hanno funzionato, visto che il loro obiettivo era ridurre le emissioni. Per questo ci siamo impegnati in due-tre anni di ricerca su come costruire movimenti sociali efficaci. Ci siamo basati su modelli del ventesimo secolo – come Martin Luther King o Gandhi – combinandoli con la moderna teoria dei movimenti sociali su come mobilitare efficacemente le persone e con le teorie dell’organizzazione che superano i conflitti tra verticismo e orizzontalità. Quando ad aprile dell’anno scorso abbiamo lanciato Xr avevamo un’idea chiara di quello che stavamo facendo. Abbiamo avuto successo perché gli elementi scelti erano quelli giusti. L’altra ragione fondamentale è la consapevolezza che la catastrofe del clima sta accadendo adesso e porterà a un livello disastroso di morte tra gli esseri umani nella prossima generazione o in quella successiva. Non è un problema o una questione sociale, è un attacco a tutto il progetto dell’umanità, a tutte le attività umane. Senza clima non c’è vita e senza vita non c’è società.

Personalmente come sei arrivato a prendere parte alla battaglia contro la crisi climatica?

Sono stato un agricoltore biologico per 20 anni. Gli agricoltori sono in prima linea di fronte al cambiamento climatico perché fanno affidamento sul tempo. Negli ultimi due decenni i sistemi climatici sono diventati incredibilmente caotici. Ogni due-tre anni ci sono fenomeni estremi, centinaia di milioni di agricoltori in tutto il mondo vivono livelli altissimi di stress perché non possono prevedere il tempo. Se sarà troppo freddo, troppo caldo, troppo piovoso o troppo secco. Una decina di anni fa ho perso tutto il mio raccolto per uno di questi eventi estremi. Tutte le persone che impiegavo hanno perso il lavoro. Questo ovviamente non accade solo in Galles, ma ovunque. Ero già consapevole della catastrofe climatica ma simili avvenimenti me l’hanno resa più reale. Ciò mi ha spinto a fare un dottorato sulla costruzione di movimenti sociali e mobilitazioni efficaci e sulla disobbedienza civile.

Cosa distingue Xr dall’attivismo ecologista precedente?

Le differenze sono moltissime. Xr si occupa principalmente di disobbedienza civile. La letteratura delle scienze sociali afferma che la partecipazione di massa alla disobbedienza civile è il modo più efficace e progressista di trasformare le strutture politiche e sociali in breve tempo. Non significa che funzioni sempre, ma che è più efficace rispetto alle campagne convenzionali o alla violenza politica e che esiste un consenso sostanziale per questa pratica, sia etico che politico. Disobbedienza civile significa infrangere la legge per come è conosciuta al momento. È l’attraversamento del Rubicone dalle attività legali a quelle illegali. Tanti movimenti sociali infrangono la legge, ma ciò che rende Xr unico è una ferrea disciplina non violenta. Non c’è assolutamente spazio per la violenza. Le motivazioni sono etiche, ma anche analitiche. La violenza corrode i movimenti sociali. Porta a una rigida polarizzazione con la controparte e degrada le relazioni dentro il movimento, che si centrano su aggressioni e atteggiamenti giudicanti. La disobbedienza civile di Xr è basata sul rispetto delle persone dentro il movimento, sull’evitare pressioni affinché compiano specifiche azioni e anche sul rispetto dell’avversario, visto che è più probabile voglia parlare con te se lo rispetti. Ovviamente questo non significa che non gli stai creando problemi. Il modello di Martin Luther King o Gandhi è la base di quello che facciamo, ma a questo si aggiungono altri elementi chiave. Come il principio del not blaming and shaming, , cioè evitare di biasimare e incolpare. In tutte le comunicazioni interne al movimento non è permesso puntare il dito contro le persone, usare nomi offensivi o essere troppo critici. Perché questo allontana le persone normali e le persone normali sono la chiave di una mobilitazione di massa. Si tratta di un grande cambiamento rispetto alla cultura tradizionale della sinistra radicale, dove è accettabile essere aggressivi o giudicare le persone, che si basa sull’osservazione che le persone non si impegnano in azioni collettive volontarie se non sono rispettate. Senza un movimento di massa non ci sono possibilità di trasformazioni radicali. Nella disobbedienza civile la cosa più importante è la partecipazione di massa. Bisogna uscire dalla bolla radicale o della sinistra e rivolgersi alle persone comuni e parlare con chi non si ha alcuna connessione culturale per trasmettere il messaggio universale che tutto ciò che amano sarà distrutto durante la prossima generazione se non affrontano questa minaccia all’umanità. In termini pratici significa tenere incontri pubblici nelle sale comunali e municipali, su e giù per il paese, in modo sistematico. Questa è la strategia. Non certo convincere gli altri movimenti radicali a unirsi. Così non funziona. Ciò che funziona è parlare con la gente normale. Il modello poi si collega all’idea di autonomia e olocrazia. Cerchiamo di prendere il meglio da entrambe. Non esiste una struttura assolutamente orizzontale né assolutamente verticistica. Ci sono gruppi locali semi autonomi, che possono andare avanti con quello che vogliono finché rimangono nei principi fondamentali di Xr, e coordinamenti nazionali che hanno mandati specifici. C’è anche un forte elemento di formazione delle persone alla cultura di base e alla filosofia di Xr. Tutti questi elementi significano che Xr ha una qualche struttura organizzata e questo ci distingue da altri esempi. Come le ribellioni e rivolte degli ultimi 10 anni, alimentate principalmente dai social media. Non avendo strutture organizzative sono collassate rapidamente, così come si sono espanse. Quello che stiamo cercando di creare è una ribellione sostenibile. L’ultimo elemento è che questa è una ribellione e quindi chiede una completa trasformazione delle strutture economiche e sociali. Non necessariamente per ragioni etico-politiche, ma soprattutto per la necessità oggettiva di realizzare cambiamenti strutturali. Dobbiamo ridurre le emissioni di carbone entro il 2025 e questo non può essere fatto dentro il sistema politico esistente. Xr è un progetto di trasformazione del sistema. Ci sarebbero altre due o tre cose, tra cui che ci piace anche divertirci.

Perché la scelta di farsi arrestare gioca un ruolo importante nella strategia politica di Xr?

Xr non si basa sugli arresti, ma sulla partecipazione di massa alla disobbedienza civile. Questa funziona sulla creazione di un dilemma all’avversario. Se la legge viene infranta la controparte ha due scelte: permetterti di continuare a infrangerla e creare ulteriori disagi oppure arrestarti. L’obiettivo è che non importi la scelta dell’avversario, perché entrambe sono forme di pressione sociale. Nel primo caso è come in uno sciopero: se i lavoratori interrompono la loro attività il processo economico si ferma, il datore di lavoro perde soldi e quando ne perde troppi si siede al tavolo dei negoziati. Nel secondo caso, se la controparte opta per gli arresti, il sacrificio delle persone crea simpatia negli osservatori. Se tante persone scelgono di perdere la libertà e soffrire danni economici e materiali per tutti gli altri la questione diventa seria. Chi guarda vede le cose in maniera diversa perché la sua immaginazione morale viene forzata a porsi la domanda: «È giusto che questi cittadini siano arrestati?». La disobbedienza civile funziona se sollecita l’immaginazione morale della nazione quando esiste qualcosa che tutti sanno essere giusta ma non vogliono agire per ottenerla. È lì che la disobbedienza civile entra in gioco come una forma efficace di trasformazione sociale. Per esempio negli anni ’60 la maggior parte degli americani erano consapevoli che ci fosse razzismo. Ma non volevano pensarci. Quando però 3mila persone sono state arrestate durante una campagna tutti gli altri sono stati costretti a riflettere. Più si pensa a una cosa, più è probabile si cambi idea. Così negli Stati Uniti si ottenne un cambiamento di massa nell’atteggiamento verso il razzismo negli anni ’60: da un rifiuto completo dei diritti dei neri a una loro accettazione diffusa. È la stessa metodologia che stiamo usando. Tutti sanno che la prossima generazione ha dei diritti, ma nessuno vuole fare sacrifici affinché quei diritti siano reali.

In pochi mesi Xr è arrivato in Canada, Usa, Sri Lanka, India, Australia e molti altri paesi. Come sono strutturate le relazioni tra i diversi nodi?

È una questione complessa e sofisticata che riguarda insieme la cultura e la struttura. Spesso si tratta il tema in modo estremamente riduttivo, cercando una sorta di potere politico. Il nocciolo della questione, invece, è che le persone cooperano tra loro soprattutto per connessioni emozionali e culturali. È importante stabilire questo tipo di rapporti al pari di quanto lo sono le strutture di decision making. Quelle connessioni si creano diffondendo la conoscenza di come Xr funziona: il rispetto reciproco; il rispetto verso l’avversario; gli incontri tenuti in un certo modo; la capacità delle persone di prendere iniziativa; di fare errori senza essere giudicati; di essere in grado di gestire l’emotività e il dolore per le cose terribili che stanno arrivando. Xr crea queste connessioni tra i gruppi nazionali grazie a una comune cultura di dolore, determinazione e rispetto. È chiaro che sopra tutto ciò esiste una struttura per prendere le decisioni. In termini formali ogni paese è autonomo e ha le sue strutture di decision making intorno ai gruppi di coordinamento. Il terzo elemento è la formazione, spesso sottovalutata nei movimenti sociali. Invece la formazione è assolutamente cruciale per spiegare cultura, filosofia e modalità di funzionamento di un’organizzazione. Tutte le persone che si impegnano con Xr sono formate nei diversi paesi su come far funzionare una ribellione di Xr. Al momento questo aspetto è stato un po’ trascurato a causa della crescita rapida, ma sarà maggiormente standardizzato nei prossimi mesi. I gruppi riceveranno un piano di mobilitazione consigliato, indicazioni su come organizzare incontri in casa e negli spazi pubblici e avviare formazioni intensive su come fare queste cose. Poi riceveranno programmi di disobbedienza civile in cui possono impegnarsi. Chiaramente queste saranno raccomandazioni e ci sono gradi di autonomia su come interpretarle. Ma stiamo cercando di standardizzare le pratiche migliori in giro per il mondo per massimizzare la mobilitazione nei diversi paesi. Abbiamo un sacco di esperienza su come farlo e bisogna imparare da tale esperienza.

Al di là delle pratiche politiche, quali sono le differenze più importanti tra Xr e il movimento dei Fridays For Future (Fff)?

La principale è che Fff ha un unico focus demografico e una sola forma di azione diretta. È rivolto ai giovani e implica non andare a scuola il venerdì. Siccome è un sistema piuttosto semplice, non richiede molta organizzazione. Di conseguenza può crescere abbastanza velocemente. Uno dei vantaggi dei sistemi semplici è che possono essere rapidamente replicati. Xr in qualche è simile, perché ha tre richieste e il suo modo di ottenere quelle richieste è il modello della resistenza civile. Allo stesso tempo, però, è anche più complesso perché coinvolge diverse culture e gruppi demografici e poi perché si sta impegnando in una vasta gamma di azioni dirette. Tutto questo non è una critica a Fff. È chiaro che ci sono vantaggi e svantaggi nei diversi metodi di mobilitazione e stiamo sperando sempre di più di coordinare globalmente la nostra disobbedienza civile con Fff.

Chi è responsabile della crisi climatica?

Per Xr la crisi climatica è un problema sistemico, cioè non è creata dal libero arbitrio di un individuo o di una classe di individui. Nasce da un sistema che dà priorità alla crescita economica rispetto alla sostenibilità. Il dibattito è lungo, ma la ragione per cui adesso è diventata una crisi di proporzioni esistenziali è che le due cose sono profondamente opposte. Se continuiamo ad affidarci a una crescita economica alimentata dai combustibili fossili, la razza umana si estinguerà e soffriremo un indescrivibile quantità di sofferenze nel prossimo mezzo secolo. La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Xr non ha effettivamente una posizione sul perché siamo arrivati a questo punto. È un’alleanza di persone diverse, principalmente con orientamento di sinistra radicale o liberale e ci sono analisi diverse. Ciò che su cui siamo tutti d’accordo è che la soluzione a questa crisi deve essere di una genuina democrazia deliberativa. Siamo qui per creare lo spazio politico attraverso cui le comunità nazionali possano incontrarsi e deliberare democraticamente su come la società deve cambiare per massimizzare la probabilità di evitare questa massiccia quantità di sofferenza alla prossima generazione. È un cambiamento fondamentale da ciò che si può definire una sorta di autoritarismo verticistico o anche di sinistra in cui un certo gruppo di persone sente di avere le soluzioni da imporre al resto della popolazione. Xr non è questo. È un progetto profondamente democratico che si manifesta rivendicando assemblee nazionali, composte attraverso il sorteggio, cioè con una selezione casuale di persone di tutte le estrazioni sociali. Questo serve a evitare che qualsiasi élites o partito politico domini il processo. Sempre di più nel mondo le persone si stanno rivolgendo ai processi decisionali configurati attraverso il sorteggio per bypassare la corruzione e la codardia delle élites politiche.

Roger Hallam

La prima richiesta di Xr è la dichiarazione di emergenza ecologica e climatica. In genere però nelle situazioni di emergenza chi esercita il potere ha meno limiti. Non credete ci possa essere un rischio per la democrazia?

Esiste un rischio reale che nei prossimi decenni finiremo in una situazione di autoritarismo, sia di destra che di sinistra. Bisogna dichiarare l’emergenza climatica perché è la fisica che lo richiede, non è una preferenza politica. Se non smettiamo di liberare carbonio nell’atmosfera le nostre società ed economie collasseranno. Non è un’opzione, è un fatto fisico. Quindi la domanda è se possiamo dichiarare un’emergenza che mantiene la cultura e le strutture della democrazia. Secondo Xr è possibile, ma solo con assemblee convocate con meccanismi di sorteggio [sortition, ndr] che diano legittimità politica per trasformare rapidamente l’economia. C’è un’analogia con l’ingresso in guerra. Si può entrare in una guerra con un governo che opprime il popolo per partecipare al conflitto o si può entrare in guerra con una legittimità politica perché tutti nel paese capiscono che la posta in gioco è la sopravvivenza. È possibile mantenere la democrazia durante una guerra, come hanno fatto gli Usa o il Regno Unito nella seconda guerra mondiale. Un livello di coercizione rimane, perché le persone che non vogliono contribuire a un certo punto devono essere costrette. Ma la coercizione può essere minimizzata nella misura in cui il paese si riunisce e si impegna in un dibattito deliberativo su quali sono le sue responsabilità verso le generazioni future. La nostra previsione è che se questo accade in modo organizzato la possibilità di una transizione democratica è più alta. Chi fa questa domanda non ha capito emozionalmente e intellettualmente l’oggettiva estremità della situazione. Il problema maggiore nel nostro ambiente culturale e politico è l’enorme livello di negazione della fisica della situazione, perché ovviamente non abbiamo mai avuto a che fare con una minaccia esistenziale da parte della natura per centinaia di anni. Sono passati due secoli dalle ultime grandi carestie in Europa. Ma se non affrontiamo la catastrofe ci saranno carestie maggiori nei prossimi anni. Può accadere tra 40 anni o l’anno prossimo, ma accadrà. È come fumare: se fumi prima o poi avrai il cancro ai polmoni. Lo avrai, non è un’opinione soggettiva.

Il Regno Unito ha dichiarato l’emergenza climatica e ambientale. È cambiato qualcosa?

Lo ha fatto il Parlamento in aprile. Ma è il governo ad avere il potere esecutivo. Finché l’esecutivo non agirà concretamente, la dichiarazione non ha alcun significato. Per noi il parlamento è come un alcolizzato che dichiara di avere un problema con l’alcol: non ha nessun valore predittivo rispetto al fatto che la persona smetta di bere. È solo un altro livello della negazione, del rifiuto di accettare. I governi in tutto il mondo faranno qualsiasi cosa, a parte agire. Perché ciò richiederebbe coraggio e legittimazione politica, che le classi dirigenti non hanno. Creeremo l’emergenza climatica solo attraverso una pratica di massa e non violenta che produca disagi nella società e costringa i leader politici a trasferire sovranità alle assemblee.

Guardando alla storia simili trasferimenti di potere sono avvenuti solo attraverso conflitti militari o guerre civili. Questa volta potrebbe andare diversamente?

Penso sia possibile e altamente probabile, sebbene non inevitabile. Viviamo in società complesse in cui la maggioranza delle persone sanno che la violenza è inefficace e immorale. Inefficace perché funziona solo in società relativamente semplificate. Nelle società complesse la violenza distrugge la complessità per riportare tutto a un sistema sociale elementare, depressivo e oppressivo. Ci sono ragioni per credere che saremo in grado di creare mobilitazioni di massa intorno a un programma di disobbedienza civile. A questo bisogna aggiungere che, siccome la disobbedienza civile non è stata in grado di rimuovere il potere dalle classi dirigenti nella storia recente, non significa che ciò sia impossibile. La storia è piena di prime volte. Nessuno pensava che l’aristocrazia francese sarebbe potuta essere superata prima della rivoluzione francese. Ma è successo. Ed è successo perché ci sono cambiamenti nella struttura sociale sottostante che sono unici. Oggi quelle trasformazioni sono la massa critica. Sappiamo statisticamente che se circa il 3% della popolazione si impegnasse nella disobbedienza civile sarebbero più o meno garantiti dei cambiamenti strutturali. Siano questi la caduta di un governo, il collasso di un regime o ciò che possiamo definire la trasformazione della legislazione strutturale, come l’eliminazione dei combustibili fossili in cinque anni o cose del genere. Queste trasformazioni non possono essere previste con precisione, ma secondo noi se il 3% della popolazione europea o del mondo occidentale parteciperà in modo ben organizzato alla disobbedienza civile nei prossimi due anni ci sono possibilità di successo. Non è mai accaduto prima, ma non significa non accadrà.

Per prevedere quando succederà c’è bisogno di analisi più sofisticate sulle trasformazioni in corso nella società. Se in precedenza non c’è stata una minaccia esistenziale, chiaramente è molto difficile che si diano simili mobilitazioni. Comunque se si introduce una minaccia esistenziale nella società si possono fare previsioni ragionevoli che le persone non vogliono morire e che per evitarlo si ribelleranno. Storicamente la prospettiva della morte si rivela nelle carestie e dopo le persone si scontrano con il governo. I tumulti per il pane sono il precursore classico delle rivoluzioni. Ovviamente questo caso è diverso, ma ci sono delle somiglianze perché le persone si renderanno conto che i loro bambini sono destinati a morire di fame.

Prendi l’Italia. Se continuiamo su questa strada la maggior parte della penisola diventerà un deserto durante le prossime due generazioni e l’intera popolazione sarà costretta a emigrare verso nord. Questa sarebbe una catastrofe transculturale, per chi è di destra e per chi è di sinistra. Se le persone se ne rendessero conto sarebbe probabile che una parte di loro decidesse che è necessario ribellarsi contro un simile progetto. Molti progressisti non capiscono che è una questione di progetto politico, come la lotta contro Hitler. Nei movimenti di resistenza durante la seconda guerra mondiale si sono uniti tutti, dai conservatori di destra all’estrema sinistra, dagli anarchici alle persone che non avevano alcuna affiliazione politica. Questo perché il progetto nazista era la distruzione completa della società occidentale. È solo in momenti simili che le persone capiscono che serve una mobilitazione trasversale agli schieramenti politici. Anche la crisi climatica richiede un processo di questo tipo, che metta insieme prospettive di destra, centro e sinistra. Questo progetto è enormemente arduo per la sinistra che ha dominato le mobilitazioni per il clima fino a questo punto e vuole disperatamente mantenere questa posizione. Per me è una prospettiva completamente immorale. Abbiamo bisogno di riunire le persone attraverso lo spettro politico, come accadde con Hitler. È qualcosa di interessante, come si può intuire.

Mi pare che la questione vada oltre il frontismo del periodo bellico, fino a un superamento dell’antagonismo tra le classi sociali in una prospettiva di riconciliazione universalistica della specie…

È il cuore di ciò che sto dicendo, il punto fondamentale della comunicazione che Xr sta cercando di fare. Siamo soprattutto persone di sinistra e capiamo perfettamente tutte le critiche alle classi dirigenti, al capitalismo e alla disuguaglianza. Tutto ciò non è in discussione. Ma ci siamo mossi verso un orientamento più realista su ciò che stiamo realmente affrontando, che non è solo la distruzione dei valori della sinistra, ma dei valori umani. Questo richiede un nuovo realismo e una nuova idea di ciò che bisogna fare e di come va fatto. Il metodo di creare questa mobilitazione di massa è riconnettersi con i valori umani e collegare destra e sinistra. Non necessariamente gli estremi, ma ciò che definiamo il cuore della civiltà occidentale, la credenza nell’autonomia individuale, nell’equità, nello stato di diritto, nell’uguaglianza sociale e così via. Questi sono i valori che la maggior parte delle persone adottano in Europa e nel mondo. In questo progetto la difesa dei valori umani prevale su ciò che si può definire politica dell’identità o valori identitari. Non significa che queste cose siano sbagliate, ma solo che sono inappropriate a questo punto della storia.

Dobbiamo riconnettere una sorta di metavalori più profondi. Suggerirei due domande preliminari: cosa significa essere umani e cosa significa essere buoni in senso aristotelico. Vivrai altri 40 anni: quali sono le tue responsabilità come essere umano nei confronti dei tuoi simili? È una tua responsabilità causare la morte delle persone o è una tua responsabilità impegnarti in attività che rendano più bassa quella possibilità? Questa è la domanda fondamentale che le persone devono porsi. A questa se ne collega un’altra: qual è la tua responsabilità come cittadino in uno stato democratico? Non siamo solo degli individui consumistici, abbiamo anche diritti in uno Stato e responsabilità come cittadini di mantenere i valori che sostengono lo Stato in un «progetto repubblicano», come si direbbe in Italia rifacendosi alla tradizione del Rinascimento.

In altre parole, abbiamo il dovere di ribellarci contro la tirannide. La tirannide è il principale avversario del progetto repubblicano. Abbiamo il dovere di ribellarci contro i governi perché al momento quei governi sono impegnati in un progetto genocida contro i loro cittadini. La definizione di tirannia è un governo impegnato nel massacro dei cittadini senza buone ragioni. Questa definizione può essere una barriera e c’è bisogno di una certa immaginazione politica. Ovviamente i governi non stanno andando in giro a massacrare i loro cittadini, ma grazie alla fisica sappiamo con assoluta certezza che le politiche di questi governi porteranno a una carneficina dei cittadini nelle prossime due generazioni. La crisi climatica è un fattore decisivo, ma ciò che ucciderà davvero le persone è il collasso sociale che dipenderà dalle tensioni ecologiche. La trasformazione dell’Italia in un deserto non ucciderà la popolazione. Ciò che la farà fuori è il collasso dello Stato italiano e l’avvento dei signori della guerra e del caos sociale, come si può vedere in Somalia, Afghanistan o in altri Stati falliti. La catastrofe si manifesterà così.

Il dibattito sulle migrazioni di massa è centrato sull’adozione di politiche che impediscano l’arrivo delle persone. Come vedi questo fenomeno da una prospettiva ecologista?

Xr non ha un programma politico con soluzioni specifiche. Siamo impegnati nella trasformazione del modo in cui si prendono decisioni sulla crisi climatica. Detto ciò, più viviamo la crisi climatica senza praticare azioni di emergenza, più sarà inevitabile che centinaia di milioni di siano costrette a emigrare dall’Africa o dalle aree tropicali. È una questione di fisica: se non puoi coltivare il cibo, ti sposti. Quindi, qualsiasi sia la prospettiva politica su questo fenomeno, più si permette che la crisi climatica accada più si creano masse di persone che soffrono. Le proiezioni attuali dicono che nei prossimi 50 anni o giù di lì le zone tropicali rischiano di diventare inabitabili per metà dell’anno, perché farà troppo caldo e sarà impossibile produrre cibo. Centinaia di milioni di persone dovranno migrare in aree più temperate. Ciò che sta per accadere è una seconda guerra mondiale moltiplicata per venti. È il tempo che cittadini ed élites politiche si sveglino. Nessuno ha interesse che questa catastrofe succeda. È un fenomeno globale, ma paesi come l’Italia che sono al limite delle zone tropicali diventeranno un deserto. Tremila anni di storia italiana stanno per finire.

Quali sono i prossimi passi per Xr?

Stiamo iniziando a organizzare la ribellione internazionale di aprile 2020. L’obiettivo è che interruzioni, blocchi e disagi saranno più intensi, lunghi, organizzati e avverranno in più paesi. Vogliamo arrivare a una massa critica tale per cui i governi la smettano di dichiarare cose. L’alcolizzato deve smettere di definirsi tale, andare in riabilitazione e non bere più. Questa è la funzione della pressione sociale, che non ha un funzionamento lineare. La controparte continuerà a dire «no, no, no», ma improvvisamente si troverà in un punto, che non sappiamo esattamente dov’è ma sappiamo che esiste, in cui dirà: «Isoleremo tutte le case e toglieremo dalle strade tutte le automobili alimentate da combustibili fossili, cancelleremo i sussidi al settore del fossile e investiremo in maniera massiccia nelle energie rinnovabili in una fase di emergenza». Tutte queste cose sono possibili per le capacità umane. Rapidi cambiamenti sociali sono già avvenuti molte volte nella storia. Accadranno di nuovo. Dal punto di vista organizzativo, il nodo è portare le mobilitazioni a un tale livello di estensione e intensività da raggiungere quel punto di rottura non lineare. Se avremo successo o se falliremo dipenderà da un sacco di piccole cose, quelle che non vanno sui giornali. Come organizzi una riunione in casa, come dai il benvenuto nella stanza alle persone. Esistono tantissimi elementi di microdesign che massimizzano le mobilitazioni. Queste cose determineranno se i nostri bambini sopravviveranno ai prossimi 50 anni. È tutta una questione di dettagli, lavoro duro e resilienza.

Questa intervista è apparsa in forma ridotta nello speciale 2019 del settimanale ecologista del manifesto “l’ExtraTerrestre”, pubblicato il 13 dicembre scorso e ancora in edicola. Il titolo è “Generazione di fenomeni” e raccoglie interviste, interventi e inchieste sui nuovi movimenti ecologisti e sulla crisi ambientale. Qui maggiori info.