Qualcuno ne parla come «l’ultima spiaggia» per i civili che ‎vivono ‎nella regione siriana di Idlib. Altri come una sorta di ‎‎”conferenza di ‎Yalta” in cui i capi politici di tre paesi fondamentali per ‎la crisi siriana ‎‎– Russia, Iran e Turchia – l’assetto futuro della Siria. ‎Più ‎realisticamente il vertice tripartito che terranno oggi a Tehran ‎Vladimir ‎Putin, Hassan Rohani e Recep Tayyip Erdogan punta a ‎definire i limiti ‎e l’ampiezza dell’imminente operazione delle forze ‎armate siriane per ‎la riconquista della regione di Idlib, nelle mani dei ‎qaedisti di an Nusra, ‎e a garantire che anche gli interessi turchi saranno ‎salvaguardati. La ‎Turchia punta a convincere russi e iraniani, alleati del ‎presidente ‎siriano Bashar Assad, a limitare l’attacco ai soli miliziani ‎qaedisti e a ‎non coinvolgere altre formazioni armate “ribelli” di fatto ‎agli ordini di ‎Erdogan, come il cosiddetto Esercito siriano libero, che ‎Ankara ha ‎impiegato di recente contro i curdi. Idlib e la Siria non sono ‎l’unico ‎tema al centro del vertice. I colloqui si concentreranno anche – ‎se non ‎soprattutto – sulla cooperazione economica regionale e sui modi ‎per ‎mantenere il flusso commerciale di fronte alle sanzioni degli Stati ‎Uniti ‎che, con motivazioni diverse, prendono di mira tutti e tre i paesi.

‎ Il summit, nel quadro del processo di Astana e terzo incontro in ‎un ‎anno tra i tre leader, doveva tenersi a Tabriz. Poi l’Iran ha deciso ‎per ‎Tehran forse per dargli maggior rilievo. L’obiettivo immediato ‎dei ‎colloqui è un’intesa volta a salvaguardare i civili siriani, oltre ‎tre ‎milioni ad Idlib, che rischiano di pagare il prezzo più alto ‎mentre ‎l’esercito siriano e le formazioni sue alleate combatteranno i ‎miliziani ‎di al Qaeda (almeno 10mila secondo alcune fonti) e di altri ‎gruppi ‎armati che da anni controllano la regione, l’ultima di una ‎certa ‎importanza su cui Damasco non ha ancora ristabilito la sua ‎autorità. Si ‎vocifera dell’istituzione di corridoi protetti che i civili in ‎fuga potranno ‎percorrere per raggiungere aree sicure. Potranno farlo ‎durante gli ‎scontri a fuoco? Nei mesi scorsi durante l’assedio della ‎regione di ‎Ghouta Est i miliziani per giorni non permisero ai civili di ‎abbandonare ‎i centri abitati soggetti ai bombardamenti dei governativi ‎e di ‎approfittare del passaggio sicuro allestito con l’intervento dei ‎russi. ‎

‎ Mosca vuole un accordo ma non arretra sul sostegno alla volontà ‎di ‎Bashar Assad di liberare Idlib. E ieri è stata molto chiara su questo. ‎La ‎Russia «ha ucciso, uccide e continuerà a uccidere» i ‎terroristi in ‎Siria, ‎ha detto la portavoce del ministero ‎degli esteri Maria ‎Zakharova, ‎sottolineando che «la pace» ‎deve tornare a regnare nel ‎Paese, «non ‎importa se si tratta ‎di Aleppo, Idlib o altre parti della ‎Siria…perché la ‎questione ‎riguarda anche la nostra sicurezza». La ‎Turchia, che ha ‎condannato gli ultimi attacchi aerei russi e siriani su ‎Idlib, sostiene che ‎l’operazione militare dovrà ‎distinguere «i terroristi ‎dai civili». Erdogan ‎in realtà guarda ad altro. Alle prese con una grave ‎crisi economica, il ‎presidente turco vuole evitare un nuovo afflusso di ‎rifugiati siriani ‎verso il ‎suo confine. ‎«Quanti (siriani) verranno in ‎Turchia? Forse due ‎milioni? ‎Forse di più. Dove andranno i terroristi in ‎fuga? Potrebbero ‎‎venire in Turchia o tornare nei loro paesi», aveva ‎avvertito due giorni ‎fa il ministro degli esteri turco ‎Cavusoglu che ha ‎proposto di condurre ‎operazioni di ‎intelligence congiunte per ‎identificare i membri di gruppi ‎‎terroristici ed eliminarli senza causare ‎vittime tra i civili‏.‏‎ ‎

All’Iran preme che il vertice si concluda con intese concrete ‎per ‎aggirare le sanzioni economiche ordinate da Donald Trump. ‎‎«Erdogan, ‎Rohani e Putin approfondiranno un piano contro le sanzioni ‎imposte ‎dagli Stati Uniti, tutti nostri paesi sono soggetti a queste ‎sanzioni», ha ‎anticipato ieri al giornale turco al Sabah, un funzionario ‎politico e ‎religioso iraniano. Tehran punta all’aumento ‎dell’interscambio ‎commerciale con la Turchia da 10 a 30 miliardi di ‎dollari. E se ‎possibile a definire una politica monetaria comune – come ‎l’abbandono ‎del dollaro nelle transazioni commerciali – in risposta alla ‎brusca ‎svalutazione delle valute dei tre paesi a causa delle politiche ‎di ‎Washington.‎