Ho lasciato il Pd che, grazie alla cura renziana, è cosa affatto diversa dal Pd concepito nel solco dell’Ulivo prodiano e mi considero politicamente senza casa. Sono uomo di sinistra, ma non mi riesce di condividere le scelte di Liberi e Uguali. Per due ragioni riconducibili al mio gene ulivista: sono convinto che la divisione del centrosinistra si proietterà ben oltre la prossima contesa elettorale avvantaggiando destra e populismi e pavento che il nobile proposito enunciato da D’Alema di un bagno nelle origini della sinistra si risolva piuttosto nella sua regressione da sinistra di governo a sinistra minoritaria. E l’unità del centrosinistra e la vocazione/ambizione di governo (poi realizzata) della sinistra furono appunto due preziose acquisizioni dell’Ulivo.

Tuttavia, non nutro dubbio alcuno sulla responsabilità preminente di questo stato delle cose, del quale la solitudine del Pd è insieme causa ed effetto. Per tre lunghi anni, Renzi ha coltivato l’idea di una presuntuosa, velleitaria autosufficienza, ha inseguito la suggestione del partito della nazione né di destra né di sinistra, ha esercitato una leadership divisiva, producendo una scissione più cercata che subita (la verità di quel passaggio è scolpita in un celebre fuori onda di Delrio). Di più: il ripudio di fatto della coalizione sta scritto in una legge elettorale che non contempla vere coalizioni politiche ma esili accordi elettorali. Incidentalmente: perfetta per il centrodestra, suicida per il centrosinistra, che in passato ha vinto solo grazie a coalizioni.

Oggi il Pd va dicendo che dispone di una coalizione, grazie alla tenacia del cireneo Fassino. Tra parentesi, è significativo che si sia delegato un compito politico per definizione non delegabile a persona terza, essendo responsabilità precipua del leader, evidentemente consapevole di essere il meno versato a ricucire e forse avendo egli messo nel conto trattarsi di impresa impossibile. Infatti, a consuntivo, quella raccolta intorno al Pd non è una coalizione, né tantomeno di centrosinistra. Solo cespugli artificiosi e frettolosamente allestiti, privi di un autonomo profilo politico, che non aggiungono nulla né politicamente, né elettoralmente; che non arricchiscono e articolano l’offerta politica verso il vasto campo del centrosinistra; che non interpretano la domanda politica di quanti, a torto o a ragione, non votano (più) Pd. Come non bastasse, tra le liste apparentate con il Pd figura quella dei cosiddetti centristi capeggiata da Casini e Lorenzin. Con un passato di centrodestra e con un presente segnato dal rifiuto di votare lo ius soli.

Aveva visto giusto Pisapia nel concludere che non vi fossero le condizioni politiche e programmatiche per un accordo con il Pd. Condizioni, lo rammento, che ricomprendevano che con lo ius soli almeno ci si provasse a portarlo in aula, che nella legge di bilancio vi fossero correzioni al jobs act, che si fissasse una chiara linea di demarcazione verso esponenti del centrodestra. Nessuna condizione si è realizzata e ciononostante vi è chi si è prestato a raccontare la lista “Insieme” come lista progressista e di sinistra. Come se Pisapia avesse scherzato.

Al fondo, sta un problema irrisolto: quello di un Pd come cosa diversa da un partito inteso come organismo collettivo contendibile. Per stare al tema della coalizione, è eloquente la circostanza che il “congresso”, che si risolve nelle primarie per la leadership, abbia avuto sostanzialmente un solo oggetto: appunto coalizione sì (Orlando)-coalizione no (Renzi), e che poi il vincitore Renzi abbia semmai seguito (almeno a parole) la linea dello sconfitto.

Lo stesso caso Boschi, che non mi appassiona, tuttavia rivela manifestamente la singolare condizione di un partito cui non riesce di convincere una sua dirigente a fare un passo di lato appunto nell’interesse superiore del partito stesso. Una noncuranza che non dice solo di un pervicace attaccamento soggettivo alle poltrone, ma che, ciò che più conta, è prova di un collettivo nel quale molti sono ostaggio di pochi che non si fanno scrupolo di trascinare tutti a fondo.