Si può perdere una partita che stai vincendo 9-1? Se sei un 5Stelle potresti.

I contributi diretti all’editoria, infatti, sono stati drasticamente tagliati negli ultimi dieci anni (-76%) proprio con il pungolo dei 5Stelle all’opposizione.

Il governo del «cambiamento» inoltre azzera nella manovra quelli indiretti (costi telefonici, etc.) con un risparmio di oltre 28 milioni e cancellerà l’obbligo dei bandi di gara sui quotidiani per un valore di mercato di 50 milioni.

Resta sulla ghigliottina, per ora, solo un contributo di 170 milioni che va alla stampa non profit e in cooperativa e alle radio-tv locali.

Il mondo però va in un’altra direzione. Il Canada, per dire, nella manovra 2019 ha appena stanziato per la prima volta un fondo da 595 milioni di dollari di sostegno alla stampa nazionale più altri 50 milioni solo per quella locale. E il budget viene ancora giudicato insufficiente.

Perché il settore dell’informazione è in crisi ovunque. E avrebbe bisogno di un sottosegretario lucido e sul pezzo. Non fermo a un «vaffanculo» urlato in piazza dieci anni fa.

Ogni giorno, in edicola o in digitale, si vendono 2,8 milioni di copie di giornali (dati a giugno scorso dell’Osservatorio sulle comunicazioni Agcom).

E 16,2 milioni di italiani si informano sulle pagine web o di carta degli editori di giornali (Audipress 2018/II). Questo scarto tra copie vendute e copie lette dimostra che il sottosegretario Crimi ha ragione a dire che va incoraggiata anche la lettura delle notizie e non solo la loro produzione e diffusione.

Per esempio con un tratto di penna potrebbe consentire l’abbonamento a un quotidiano nella Carta del docente o nella app per i 18enni, acquisto culturale finora inspiegabilmente escluso.

Oppure, se vuole trasparenza sulla proprietà dei giornali, potrebbe chiedere all’Agcom di pubblicare il dettaglio delle quote sociali di ogni testata soggetta a contributo. Un’informazione utile a chiunque ma ferma, chissà perché, al 2012.

Ora i 5Stelle hanno una nuova ossessione: lo scalpo di Libero e Italia Oggi, con gli altri 3 giornali nazionali (noi, Avvenire e Foglio) sullo sfondo. Misera battaglia. Perché da quel V-Day del 2008 hanno chiuso decine di testate e nel frattempo non è nato nulla.

L’Agcom ci dice che il 68% delle testate registrate pubblicate solo su web fattura meno di 21mila euro lordi l’anno (osservatorio sulle testate on line 2018). Altro che «campagna dei cento fiori» o difesa dei giornalisti precari.

E i 5 Stelle invece di spendersi su questo, chiudono con Google (ministro Di Maio) un appalto da 25 milioni per 5mila tirocinii digitali.

Oppure stanziano 39 milioni per il prossimo G20 in Italia e altri 21 per l’Expo 2020 a Dubai.

Il sottosegretario adesso dice che i 5 giornali nazionali soggetti a contributo diretto fanno «concorrenza» agli altri.

Ma non dice una parola, invece, sulla concentrazione sempre più forte del mercato editoriale, dove i gruppi Gedi e Rcs insieme diffondono più del 40% delle copie totali, superando per la prima volta i pur labili tetti antitrust della legge Gasparri (che a parte le interviste, il governo lascerà intatta).

Il fondo che a Palazzo Chigi Crimi si trova controvoglia a gestire serve proprio al pluralismo. Peraltro in molte regioni ci sono da anni fondi analoghi riservati alla stampa locale.

Un emendamento non è una riforma. Ci sarebbe molto da fare. E da cambiare. Magari con quegli «stati generali dell’editoria» che la filiera chiede da tempo.