Quella di Rossana Rossanda è una perdita che non poteva essere messa semplicemente in conto, nonostante le sue gravi condizioni fisiche e l’età.

È, resterà una ferita aperta. Dopo l’ultima drammatica crisi economica de il manifesto alla fine del 2012, politica e generazionale, negli ultimi anni era tornata a scrivere e ad essere in qualche modo presente sul suo giornale con suggerimenti, consigli, lettere, interventi e interviste.

Ora, come non mai, ci manca quello stile che voleva scendere nel profondo, mai contenta, quella irrequietezza e distanza critica ma sempre dedita alla vicinanza con i più giovani, quel rimprovero a non dimenticare le ragioni fondative della nostra esistenza nata per la crisi profonda dei modelli alternativi di costruzione del socialismo ma anche per il precipizio del modello capitalistico vincente.

Per noi che abbiamo lavorato con lei per 50 anni e che la consideriamo la nostra «matrice», le sue parole serene e taglienti hanno attraversato e attraversano la nostra vita ogni giorno, alle prese con notizie da tutti i lati del mondo e dal Belpaese che confermano una diffusa e generale crisi materiale e di senso, così profonda che rasenta la tragedia.

I tempi che si annunciano mostrano un futuro oscuro che rimanda ad epoche perfino più buie che Rossana aveva attraversato, sempre combattendo dalla parte degli ultimi, sempre attenta alla nascita dei nuovi, decisivi, movimenti.

C’era negli occhi di Rossana una indimenticabile luce che ci riguarda e che resta come insegnamento irrinunciabile: era quella di chi, non aspettando consensi e pubblicità, indaga il presente senza fingimenti e sempre con attitudine insoddisfatta.

Era come se avesse sotto gli occhi la barra del tempo e il suo lieve ma inesorabile moto: questo ho pensato una prima volta guardandola quando, nel centro culturale Gubelkjan a Lisbona a un anno dalla Rivoluzione dei garofani nel 1975, spiegava ai militari che un anno prima erano insorti, che a un anno dalla rivoluzione senza strumenti reali di egemonia, senza rafforzare il blocco sociale delle classi subalterne e nella fragilità delle forze di sinistra divise e i cui leader erano da poco usciti di prigione, la reazione avrebbe preso il sopravvento. Accadde, purtroppo, proprio quello.

Era una comunista, di quel comunismo che aveva sbagliato ma che non era sbagliato. Lavorava per una società superiore ma non sfuggiva ai limiti del passato. Siamo all’altezza di quel rigore e di quella caparbietà necessaria?

Rossana era unica. Ora giustamente tutti ricordano la sua importanza, non solo per la storia del Manifesto, per la politica e per la cultura contemporanea – rischia quasi di diventare un «brand» nazionale lei che non si risparmiava a dichiararsi internazionalista.

Lei non si omologava ai modelli intellettuali dominanti, era in disparte a vedere prima degli altri lo sviluppo dei processi sociali in corso e a prevederne i risultati.

Troppo spesso inascoltata o male interpretata, come quando, in un lungo e prezioso intervento sul giornale (proprio a fine 2012), sferzò tutta la redazione perché non aveva voluto approfondire i contenuti emersi dalla svolta epocale del 1989 a Est.

Trasmetteva durezza ed amore, un amore incommensurabile e più forte delle nostre scarse possibilità materiali. Era indipendente e libera nell’individualità e nella dimensione collettiva. Addio Rossana e per sempre.